giovedì 24 agosto 2006

Energia al di là e al di qua delle Alpi - Discorso di Paolo Scaroni

Discorso di Paolo Scaroni al Meeting Comunione e Liberazione, Rimini, 24 agosto 2006

L’età del petrolio sta davvero volgendo al termine? Perché il prezzo è così alto?
Il numero uno di Eni Paolo Scaroni mostra ottimismo e ridimensiona gli allarmismi.
Per il nostro futuro, però, sono necessari l’utilizzo efficiente e razionale dell’energia e maggiori investimenti nella ricerca e nella tecnologia.

"Buon pomeriggio a tutti,

come potete immaginare, con il lavoro che faccio, di questi tempi non mi si parla d’altro che di petrolio. Anche nei giorni scorsi, in vacanza, venivo avvicinato da amici, ma anche da semplici curiosi, che, preoccupati dei prezzi record della benzina, mi tempestavano di domande: l’era del petrolio sta volgendo al termine? O sono i paesi produttori che approfittano della instabilità politica internazionale per speculare a scapito del consumatore? Oppure, è la Cina che, con la sua crescita vertiginosa, assorbe quantità crescenti di energia facendo schizzare verso l’alto il prezzo del greggio?

Voglio approfittare di quest’opportunità che mi date di essere qui, tra di voi, per cercare di rispondere a queste domande ed anche per parlare di risorse, di risorse scarse e dell’uso che ne fa l’uomo. L’uomo, che vive la ragione come apertura alla realtà e guarda alle risorse come ad un bene che gli è stato affidato e di cui deve rendere conto.
Partiamo dalla domanda più frequente: ma di petrolio ce n’è ancora sotto terra? Oppure l’era degli idrocarburi fossili sta finendo e i prezzi che vediamo oggi segnalano proprio l’avvicinarsi della fine?
Vi dico subito che di petrolio nel mondo ce n’è. Ed anche tanto.

Attualmente, il nostro pianeta dispone di riserve cosiddette “certe” per oltre mille miliardi di barili. Queste riserve certe sono più di tutto il petrolio che è stato consumato dall’inizio dell’era petrolifera dalla seconda metà dell’800 fino ad oggi.

Ma per capire quanto petrolio ci rimane, alle riserve certe, dobbiamo aggiungere le riserve “probabili” e quelle “possibili”.
In totale ci sono sotto terra almeno altri 5 mila miliardi di barili. Di che soddisfare i consumi del mondo per i prossimi 70 anni.
Ma se di petrolio ce n’è tanto, perché i prezzi sono alle stelle?

  • La risposta a questa domanda è che per molti anni il prezzo del petrolio è stato basso, troppo basso. Dal 1986 al 2001, il prezzo medio del greggio è stato di 18 $ al barile. Nello stesso arco di tempo, ha subito due veri e propri collassi – nel 1986 e nel 1998 scendendo persino sotto i 10 $.
  • In quegli anni, con quei prezzi, i Paesi Produttori e le Compagnie Petrolifere non avevano né l’interesse né i mezzi finanziari per investire nell’esplorazione di nuovi giacimenti, nello sviluppo di quelli già scoperti, in nuove raffinerie ed in tutte quelle infrastrutture indispensabili per fare arrivare al consumatore i prodotti raffinati come benzina e gasolio.
  • • Quindi, mentre di petrolio sotto terra ce n’è in abbondanza, la capacità di estrarlo, trasportarlo e raffinarlo non ha tenuto il passo con la crescita della domanda. In questo momento, la capacità di estrarre petrolio in eccesso che non deve essere utilizzata per far fronte alla domanda è appena il 2%. In questa situazione di tensione è ovvio che ogni stop alla produzione, sia che si tratti di quello causato l’anno scorso dall’uragano Katrina nel Golfo del Messico oppure quest’anno dai sabotaggi della guerriglia in Nigeria, produca un’impennata dei prezzi del barile. L’impennata viene poi amplificata dai milioni di “barili di carta” che la speculazione internazionale compra e vende ogni giorno cercando di anticipare la fluttuazione dei prezzi del petrolio vero.
  • Va detto che quanto sta succedendo, petrolio ai massimi storici e minacce alla sicurezza degli approvvigionamenti, si poteva evitare. Già nella prima metà degli anni 90, quando il petrolio oscillava intorno ai 15 $ al barile, l’OPEC invocava un dialogo con l’Occidente per spingere il petrolio ad un prezzo più alto, almeno 20$ che permettesse ai Paesi Produttori di investire nello sviluppo dei giacimenti. Questa richiesta non trovò ascolto. I paesi industrializzati pagano oggi con gli interessi la bonanza del tanto petrolio a buon mercato di quegli anni.

Il caro-greggio non è quindi dovuto ad una scarsità della materia prima. E’ piuttosto, il prezzo che paghiamo per la nostra miopia negli anni 90.
Tra l’altro non sono i paesi produttori i principali responsabili degli alti prezzi che paghiamo alla pompa.
Il barile, il cui prezzo in questi giorni oscilla intorno ai 70 dollari, quando andiamo a fare il pieno lo paghiamo più di 200 $. La maggior parte del prezzo dei carburanti in Italia ed in Europa sono tasse. Ed infatti quando i paesi produttori vengono colpevolizzati dai governi occidentali per gli aumenti del prezzo del greggio si difendono dicendo non senza ragione: abbassate voi le tasse se volete proteggere il consumatore.
E poi chi l’ha detto che, a 70 dollari al barile, il petrolio è caro?
La realtà è che ci siamo abituati a pagare poco risorse preziose come il petrolio, il gas ed anche l’acqua, neanche ci appartenessero per diritto divino.
Certo ai prezzi attuali il petrolio ci sembra caro. Ma se vi venisse in mente di comprare un barile di coca-cola o di aranciata lo paghereste più del doppio.
Il paradosso è che ci lamentiamo per i prezzi alti del petrolio, ma continuiamo imperterriti a perseguire comportamenti e politiche energetiche assolutamente folli.
A rigor di logica, a fronte degli aumenti che si susseguono dal 2001, oggi il petrolio costa 4 volte di più che 5 anni fa, il consumatore avrebbe dovuto modificare i suoi comportamenti. Anche la politica sarebbe dovuta intervenire sulla domanda, scoraggiando sprechi e consumi eccessivi. Su questo terreno, i grandi consumatori, Stati Uniti ed Europa in testa, hanno fatto poco o niente.
Negli Stati Uniti la domanda di petrolio non ha fatto che crescere anno dopo anno.
Mode e stili di vita irrazionali hanno spinto all’insù i consumi di benzina. Metà dei 17 milioni di automobili vendute negli Stati Uniti ogni anno sono SUV, gipponi che percorrono solamente 4 o 5 chilometri con un litro di benzina, mostri inefficienti, inutili ed inquinanti.
Anche per questa ragione gli americani sono i più voraci consumatori di petrolio al mondo. Ogni americano brucia 26 barili di petrolio all’anno contro i 12 dell’ europeo, i 2 del cinese. L’indiano è in coda alla classifica con meno di 1 barile all’anno.

E se individualmente cinesi ed indiani non possono certo dirsi grandi consumatori di petrolio, anche collettivamente consumano poco. Nonostante la crescita vertiginosa degli ultimi anni, la Cina rappresenta ancora meno dell’8% della domanda petrolifera globale. Anche se continuasse a crescere a questo ritmo, il suo impatto sul mercato del petrolio sarebbe contenuto, almeno nel medio periodo.
Una politica mondiale delle risorse basata sulla ragione dovrebbe, attraverso l’educazione e senza ledere le scelte personali, spingere verso un uso più efficiente del petrolio nei paesi industrializzati, piuttosto che colpevolizzare la crescita impetuosa dell’economia cinese o i Paesi produttori di petrolio.
Al contrario, con i Paesi del petrolio, giustamente protesi verso uno sviluppo economico accelerato, bisogna saper costruire nuove alleanze. Noi abbiamo tecnologie, competenze, capacità di gestione. Loro l’energia che muove il mondo. Dobbiamo essere capaci di promuovere alleanze intorno allo sviluppo di progetti integrati sul loro territorio al servizio dei loro obbiettivi di strategia paese. Per noi di Eni, che da sempre, dai tempi di Mattei, sviluppiamo modelli di cooperazione innovativi e solidali tutto questo non è una novità.
Ed è anche importante che questo nostro sforzo di cooperazione sia accompagnato dall’azione della nostra politica estera. Proprio come stiamo facendo ora per il processo di pacificazione in Libano.
E se vogliamo che l’economia globale continui a crescere, migliorando condizioni e durata di vita di centinaia di milioni di abitanti del nostro pianeta, finora esclusi dalla civiltà del benessere, abbiamo bisogno di energia. Tanta e ad un costo sostenibile per tutti, ma soprattutto per quei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina che non hanno petrolio e che, loro si, patiscono davvero il barile alle stelle sul cui prezzo tanto pesa il consumo irrazionale del cittadino occidentale.

E poi, lo dicevamo prima, le riserve di idrocarburi coprono solo i nostri consumi dei prossimi 70 anni. Questo vuol dire che, continuando così, i figli di molti di voi, in questa sala, vivranno in un mondo senza petrolio. Per fortuna non mancano le risposte della scienza e della tecnologia a questo problema:
le rinnovabili, innanzitutto: eolico, solare, geotermico, biomasse. Con le tecnologie attuali, queste fonti rappresentano ancora troppo poco per incidere sulle dinamiche del mercato dell’ energia. Ma nei prossimi 30/40 anni, continuando ad investire in innovazione, il loro contributo al consumo energetico mondiale diventerà significativo.
Ci sono poi i biocarburanti, idrocarburi vegetali prodotti soprattutto da canna da zucchero e olio di palma. Nuove tecnologie consentono a grandi paesi tropicali come Brasile ed Indonesia di sostituire in quantità crescente con questi carburanti vegetali gli idrocarburi fossili.
Dobbiamo soprattutto continuare ad investire sia nella ricerca per produrre idrogeno da carbone, sequestrando la CO2, sia in quella per un nucleare a bassa produzione di scorie. Carbone ed uranio sono risorse abbondanti nel nostro pianeta e potranno realizzare il sogno di fornire energia a basso costo per molte generazioni.
Mentre scienza e tecnologia costruiscono il futuro energetico dell’umanità, la sfida è prolungare l’era degli idrocarburi fossili. Per farlo dobbiamo investire con convinzione sull’unica fonte di energia alternativa che può avere un impatto formidabile sul mercato del petrolio: l’uso efficiente e razionale dell’ energia.
Voglio farvi un esempio di quanto grande è il potenziale di riduzione dello spreco.
Il parco automobilistico americano marcia, in media, 7 km con un litro di carburante. Quello europeo, dove qualche cosa si è fatto in tema di efficienza dei consumi, percorre in media 13km con un litro. Se, senza divieti limitativi delle libertà personali, si convincesse il consumatore americano ad acquistare automobili efficienti quanto quelle europee, si risparmierebbero 4 milioni di barili di petrolio al giorno e cioè l’intera produzione dell’Iran, il terzo esportatore mondiale di petrolio.

Ma perché bisogna accontentarsi di un parco macchine che fa 13 km con un litro? Anche l’Europa non è poi così virtuosa. Esistono oggi auto confortevoli che fanno più di 20 km con un litro. E allora se tutte le automobili di Europa, Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone, insomma di tutti i paesi ricchi grandi consumatori di petrolio, facessero in media 20 km con un litro, si risparmierebbero più di 10 milioni di barili al giorno, cioè tutta la produzione del primo produttore al mondo, l’Arabia Saudita e, per inciso, più di tutto il consumo di Cina e India messe assieme.
Questo sarebbe un risultato formidabile che sconvolgerebbe il mercato del petrolio facendone scendere precipitosamente il prezzo.
Ma questa dei “mostri della strada” che sprecano una risorsa preziosa del nostro pianeta è sono solo una delle follie del nostro mondo. Ecco ne un’altra. Guardiamo di nuovo al Nord America ed all’uso che lì si fa del riscaldamento e del condizionamento. Non ho mai capito perché, negli Stati Uniti, d’inverno le case debbano essere surriscaldate e si deve stare in maglietta, mentre, d’estate serve il cappotto per sopravvivere in uffici e ristoranti con temperature glaciali. Tutto ciò comporta consumi energetici per riscaldamento e condizionamento del 30% più elevati di quelli europei.

Pensate. Se il mondo industrializzato avesse un parco auto efficiente e se gli americani fossero disposti ad adeguare il loro stile di vita in termini di riscaldamento e di condizionamento agli standard Europei, si risparmierebbero 15 milioni di barili al giorno quasi il 20% del consumo mondiale di petrolio, prolungando di almeno 20 anni l’era degli idrocarburi fossili.
L’uso razionale delle risorse del pianeta delle quali non siamo proprietari, ma solo custodi, è un percorso ineludibile per la nostra generazione e soprattutto per aziende leader come ENI. Lo spreco insito nei comportamenti dei cittadini dei Paesi ricchi amplia la distanza tra un Occidente opulento ed il resto del mondo. Una divaricazione che non possiamo consentire, per ragioni etiche, ma anche per l’instabilità che provoca. Chiudere questo gap è un’opportunità per rafforzare i Paesi meno sviluppati e renderli parte dell’economia globale, aiutandoli ad evitare gli errori che abbiamo commesso noi nell’uso della risorsa energia.
Se prendiamo conoscenza di tutto ciò, e, se sapremo modificare il nostro comportamento individuale in modo razionale, arriveremo al tempo in cui il petrolio potrà non essere più la fonte energetica primaria perché sarà rimpiazzato da altre risorse. E anche le compagnie petrolifere, quelle che vedono nel cambiamento un’opportunità per crescere ed innovare, potranno soddisfare i fabbisogni energetici del nostro pianeta in modo equilibrato e sostenibile continuando a creare valore per i loro azionisti. Su questo terreno, Eni vuole essere in prima linea. Lo vogliamo per ragioni di efficacia economica, ma anche per la responsabilità che portiamo di fronte a coloro che verranno dopo di noi.
Questa è la nostra sfida per il futuro."

Paolo Scaroni, Amministratore Delegato Eni
Rimini, 24 agosto 2006


Vedi il video del discorso di Paolo Scaroni - su www.eni.it

lunedì 14 agosto 2006

Quanta energia ci rimane? - Discorso di Paolo Scaroni

L’Italia, che lo si voglia o no, va a gas. L’AD Eni, Paolo Scaroni, indica le quattro vie da seguire per garantire al Paese approvvigionamenti sicuri e prezzi convenienti: costruire i rigassificatori, interconnettere via tubo l’Italia con i Paesi che già dispongono di terminal GNL, diversificare le fonti di approvvigionamento e utilizzare l’energia in modo razionale.

"Alcuni elementi di chiarezza sul tema del gas.

L’Italia è stata precursore nell’utilizzo del gas. Enrico Mattei alla ricerca di petrolio negli anni 50, trovò in pianura Padana il gas ed ebbe l’intuizione di usarlo come “combustibile” per il rilancio del Paese che usciva distrutto dal dopoguerra. Creò la rete di trasporto (oggi si chiamerebbe Snam Rete Gas) e di distribuzione (oggi sarebbe Italgas) più sviluppata del mondo. Oggi l’Italia attraverso Eni dispone di tutte le competenze del settore del gas e consumi tra i più alti al mondo: 2 case su 3 sono riscaldate a gas, più di metà dei consumi energetici della nostra industria manifatturiera è alimentata a gas e soprattutto, unico caso a livello “planetario”, il 60% della nostra energia elettrica è prodotta bruciando gas.

Quest’ultima scelta, in particolare, non so quanto sia stata saggia perché ci allontana da altri paesi industrializzati che producono elettricità da carbone e nucleare, con un mix coerente, efficiente e soprattutto poco costoso.
Ma tant’è, questa scelta è stata fatta investendo negli ultimi dieci anni almeno 20 miliardi di euro in nuove centrali elettriche a gas. A questo punto siamo di fronte ad una scelta obbligata:

1) dobbiamo avere tutto il gas che ci serve,
2) ai prezzi più bassi possibile,
3) con quella sicurezza di approvvigionamento che è indispensabile per un Paese che senza gas sta al freddo, arresta le sue fabbriche e soprattutto “spegne la luce”.

Con questo background, lo scorso inverno abbiamo assistito con trepidazione alle “dispute” politico-commerciali tra Russia e Ucraina e assistiamo oggi con preoccupazione all’accordo-saldatura tra i nostri due grandi fornitori di gas, la russa Gazprom e l’algerina Sonatrach, che insieme contribuiscono a più del 70% delle nostre forniture di gas.
E quindi?

1) Costruire rigassificatori in Italia che dispongano di gas liquido (GNL) proveniente da paesi remoti non collegati via tubo e costituiscano un’alternativa/concorrenza ai due grandi fornitori. Solo in questo modo si può creare un contesto concorrenziale: e questa sì che è la vera liberalizzazione, con effetti sui consumatori.

2) Interconnettere l’Italia via tubo con quei paesi che stanno realizzando o hanno già i rigassificatori come Spagna, Francia, Belgio, assicurando la sicurezza di approvvigionamento a livello europeo.

3) Dobbiamo diversificare le nostre fonti di approvvigionamento soprattutto per la produzione di energia elettrica usando più carbone pulito e forse anche riaprendo il tema del nucleare come stanno facendo in molti paesi (Finlandia, UK, USA). Per inciso, mentre stiamo parlando sono in costruzione 29 centrali nucleari nel mondo.

4) Una grande campagna di risparmio energetico e di utilizzo di fonti alternative rinnovabili a buon mercato. Su questo terreno si può fare moltissimo. Sono convinto che si possano ridurre o rimpiazzare i nostri consumi fino al 20% con effetti benefici sulla sicurezza degli approvvigionamenti, sul nostro portafoglio e sull’ambiente che ci circonda."

Paolo Scaroni, Amministratore Delegato Eni
Cortina Incontra, Cortina d’Ampezzo, 14 agosto 2006

Vedi il video del discorso di Paolo Scaroni - su www.eni.it

martedì 8 agosto 2006

Paolo Scaroni: la Governance dell'energia

Paolo Scaroni, CEO di Eni, ha tenuto questo discorso all'Aspen Institute a Roma.

I processi di liberalizzazione del mercato del gas sui quali l'Europa e l'Italia hanno concentrato i propri sforzi negli ultimi 8 anni ''si rivelano inefficaci''.
Ad esserne convinto è l'AD Eni Paolo Scaroni, che sottolinea la necessità di una nuova strategia rispetto alle sfide poste dal comportamento dei Paesi fornitori di gas attraverso le grandi società oligopolistiche pubbliche.

"Vorrei parlarvi oggi di un argomento che è diventato uno dei più importanti temi di governance globale dei nostri tempi: l’approvvigionamento energetico mondiale. Non c’è dubbio che al top dell’agenda degli incontri dei leader di tutto il mondo ci sia in questo momento il tema della governance dell’energia, del petrolio che ha raggiunto prezzi impensabili fino a qualche anno fa, ma soprattutto del gas naturale il cui mercato, più di ogni altro mette in evidenza, tutti insieme temi economici, politici, ed addirittura strategico militari.

Non è un caso che l’energia sia il tema principe del vertice G8 di San Pietroburgo della prossima settimana.
E poi, le tematiche dell’approvvigionamento energetico non appassionano più soltanto gli addetti ai lavori, ma hanno assunto grande visibilità per l’opinione pubblica: il consumatore europeo ha appreso, l’inverno scorso, che la crisi politico economica tra Russia e Ucraina, che trae origine dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, può avere un effetto immediato sulla sua vita di tutti i giorni.

Il gas, è diventato un combustibile “pregiato” per le sue qualità ambientali e per le ampie possibilità di utilizzo: dall’industria al settore termoelettrico, agli usi civili, alla chimica, all’autotrazione, ma questa fortuna è un fatto recente. Ai tempi di Mattei, la scoperta di gas era vissuta come una iattura più che come un successo perché il gas era considerato un sottoprodotto del petrolio, buono quasi soltanto per essere bruciato ai pozzi.
Da allora, nell’arco di cinquant’anni, il peso e il valore del gas fra le fonti di energia primaria sono cresciuti dapprima nei settori civile e industriale, dove il gas ha progressivamente rimpiazzato il gasolio e l’olio combustibile e poi, in anni più recenti con l’utilizzo massiccio nella generazione elettrica.

L’impiego del gas in centrali elettriche a ciclo combinato ha rappresentato un vero breakthrough tecnologico: il rendimento elevatissimo di queste centrali accoppiato all’efficienza ambientale ha rappresentato il volano della crescita dell’impiego del gas nel settore elettrico. Questa scelta di elettricità da gas è stata un fenomeno globale: pensate che negli Stati Uniti fra il 1998 e il 2005 le centrali a gas hanno rappresentato il 95% del totale della nuova capacità termoelettrica. E in Europa le centrali a gas hanno rappresentano il 75% della nuova capacità termoelettrica costruita negli ultimi 10 anni.

In un contesto di disponibilità pressoché illimitata di gas a prezzi bassi l’impiego massiccio del gas nella generazione elettrica è stata per paesi come l’Italia una scelta logica. Non so se sia stata una scelta anche saggia ma, in un contesto di rifiuto del nucleare e di diffidenza verso il carbone, lo sviluppo della capacità a gas è stata forse una scelta obbligata. Oggi l’Italia, unico paese al mondo che produce da gas il 60% della sua elettricità, deve affrontare un contesto di mercato radicalmente cambiato.

Infatti, mentre il consumo del gas cresce a tassi mai visti prima, l’offerta non ha una dinamica altrettanto vivace.

Dal 2003, l’abbondanza di gas di un tempo e i bassi prezzi si sono trasformati in scarsità relativa e prezzi stellari. Vi faccio un esempio: il prezzo al National Balancing Point per mille metri cubi di gas nel 1998 si aggirava intorno ai 60 euro. Per la stessa quantità, nel 2000 il prezzo era mediamente di 100 euro, nel dicembre 2005 il prezzo medio è stato di 465 euro. Con la fine della stagione fredda, i prezzi sono tornati intorno ai 180 euro, ma il future a gennaio 2007 è risalito al prezzo stratosferico di 500 euro per mille metri cubi.

Soltanto di recente i legislatori nazionali e sovranazionali hanno iniziato a ripensare le scelte di politica energetica fin qui compiute, per adeguarle a un contesto di scarsità di gas. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno saputo rispondere con prontezza all’emergenza varando - già con l’Energy Bill dell’estate 2005, incentivi alla generazione elettrica non alimentata a gas (a carbone, nucleare e da fonti rinnovabili) e di promozione dell’efficienza energetica.

Anche l’Europa deve porsi il problema politico della sicurezza degli approvvigionamenti, tanto più che si delinea in modo sempre più netto uno scenario di aspra competizione fra paesi consumatori per accaparrarsi i futuri approvvigionamenti di gas.

Con la convergenza dei mercati regionali del gas verso un unico mercato globale del GNL, infatti, si sta scatenando una competizione per le forniture: chi avrà disponibilità di gas liquido, la indirizzerà verso il mercato disposto a pagare meglio. E i paesi europei saranno nella scomoda condizione di paesi compratori in un mercato del venditore.

Lanciamo uno sguardo allo scenario che abbiamo di fronte a noi per il mercato del gas in Europa ed in Italia.
Iniziamo dal fabbisogno europeo. Nel caso di ulteriore forte crescita della domanda, sostenuta da politiche energetiche e ambientali che scoraggiano carbone e nucleare e tenendo conto del declino delle produzioni interne avremo un fabbisogno incrementale al 2012 di circa 200/220 mld mc.

Si tratta di volumi enormi e la domanda cruciale che dobbiamo farci è: Dove troveremo tutto questo gas?

Una parte di questa domanda incrementale potrà essere soddisfatta tramite importazioni via tubo, circa 90 mld mc. Questo vuol dire che gran parte dei nuovi approvvigionamenti dovrà arrivare in Europa via GNL.
Anche ammettendo che in Europa riuscissimo a costruire la capacità di rigassificazione necessaria (circa 12 rigassificatori), per ricevere il GNL resta il problema della disponibilità del gas e della capacità di liquefazione. Questo è il vero collo di bottiglia della catena GNL. Per soddisfare il fabbisogno europeo di GNL al 2012 - circa 110-130 mld mc - dovremmo riuscire a contrattare per l’Europa tutta la capacità di liquefazione mondiale (esistente e potenziale) ancora libera. Ma una volta che l’Europa riuscisse ad accaparrarsi tutta la capacità di liquefazione disponibile, chi alimenterebbe la crescita dei consumi della Corea, di Taiwan, del Giappone, degli Stati Uniti e anche di Cina e India?
Anche l’Italia è parte del problema europeo con l’aggravante di usare il gas più di tutti.

La domanda italiana di gas al 2012 sarà di circa 15 mld mc più alta di quella attuale
A fronte di questa crescita dei consumi, Eni già ben prima del 2012 avrà realizzato i potenziamenti del TAG e del TTPC per 13 mld mc all’anno di nuova capacità di importazione destinata a operatori terzi, cui si aggiungono 4 mld mc/a di incremento di capacità sul TAG - già programmati da anni. Inoltre, al 2012 dal Greenstream libico opportunamente potenziato arriverà una capacità di trasporto aggiuntiva di circa 6 mld mc all’anno.
A questi 23 mld di mc di capacità di trasporto aggiuntiva via tubo bisogna aggiungere il GNL che arriverà al terminale di Rovigo dalla Exxon e di un possibile nuovo terminale che mi auguro sia di ENI, per una capacità di importazione complessiva di ulteriori 16 mld mc/a.
In sintesi, al 2012 avremo una capacità di importazione incrementale rispetto al 2005 di circa 40 mld mc all’anno, a fronte di un incremento di domanda di 15 mld mc al 2012.

Tutto bene dunque? Abbiamo risolto i nostri problemi di approvvigionamento del gas? Non proprio.
Nessuno ci garantisce che Gazprom e Sonatrach vorranno continuare ad accrescere il livello di fornitura del loro gas all’Italia e non ambiscano piuttosto a conquistare mercati con prospettive di crescita più sostenuta, per diversificare i loro mercati di sbocco e impadronirsi di spazi e margini maggiori.

Tutti i segnali che riceviamo dal mercato ci indicano che i nostri fornitori oligopolisti non vogliano aumentare i volumi del gas venduto al nostro paese ma mirino piuttosto ad accrescerne il valore con prezzi più alti e l’accesso diretto al mercato finale fino possibilmente a staccare la bolletta ai nostri concittadini.

E di fronte a questo scenario i processi di liberalizzazione sui quali l’Europa e l’Italia hanno concentrato sforzi ed energie negli ultimi 8 anni si rivelano inefficaci. Ci vuole una nuova strategia rispetto alle nuove sfide poste dal comportamento dei nostri fornitori, grandi società oligopolistiche pubbliche.

Non posso a questo punto non fare un accenno al prezzo del gas in Italia per sfatare un mito duro a morire: si dice in molte sedi - anche istituzionali - che il prezzo del gas nel nostro paese sarebbe fra i più alti in Europa.
Vorrei ristabilire la verità: il prezzo italiano del gas per il settore civile al netto delle tasse è il più basso fra i principali paesi europei importatori: Francia, Germania e Spagna.
Per quanto riguarda il settore industriale, il prezzo pagato dai clienti italiani è il più basso fra i paesi importatori per la piccola industria, e comunque inferiore alla media per la media industria. Soltanto la grande industria può legittimamente esprimere qualche lamentela.

Ciò detto, e mi scuserete sull’inciso sul prezzo del gas in Italia ma il tema mi sta davvero a cuore, voglio tirare qualche conclusione su come l’Europa e l’Italia possono affrontare un futuro nel quale di gas ce ne sarà poco, ci sarà molta concorrenza tra paesi e continenti per gli approvvigionamenti, sarà quindi costoso e rimarrà nelle mani di grandi società controllate da governi le quali, nella migliore delle ipotesi cercheranno, a nostre spese, di massimizzare il valore di questo combustibile che è divenuto essenziale per la nostra vita.

La soluzione del problema della sicurezza degli approvvigionamenti non è cosa né immediata né semplice. Ma ci sono 4 cose che possiamo fare da subito:

  • Occorre realizzare le infrastrutture GNL e di stoccaggio, come presupposto per migliorare la sicurezza e la flessibilità del sistema di approvvigionamento del gas in Europea ed in Italia moltiplicando il numero dei fornitori.
  • Bisogna interconnettere i singoli mercati nazionali in modo da permettere il convogliamento di volumi là dove si creino deficit di offerta.
  • Accanto agli interventi per l’incremento dell’offerta, occorre governare anche la domanda, incentivando la diversificazione delle fonti e l’efficienza nell’uso dell’energia, sulla linea di quanto stanno facendo gli Stati Uniti.
  • Infine, occorre contemperare le esigenze di tutela ambientale con quelle di sicurezza energetica, poiché, inevitabilmente, questi due vincoli sono interdipendenti. È evidente che penalizzare il carbone o il nucleare in uno scenario di scarsità di gas amplifica in modo drammatico il problema. "

Paolo Scaroni, 8 luglio 2006