mercoledì 27 dicembre 2006

Paolo Scaroni incontra il Presidente nigeriano Obasanjo

Paolo Scaroni, l'amministratore delegato dell'Eni, ha incontrato il Presidente nigeriano Obasanjo. Al centro dell'incontro, lungo e cordiale, il sequestro dei quattro dipendenti Eni, avvenuto il 7 dicembre scorso presso il terminale di Brass nei pressi di Port Harcourt, e la tragica esplosione di ieri a Lagos di un oleodotto in cui hanno perso la vita centinaia di persone.

San Donato Milanese (MI), 27 dicembre 2006 - Si è svolto oggi a Lagos l'incontro tra il Presidente nigeriano Chief Olusegun Obasanjo e l'Amministratore delegato Eni Paolo Scaroni. Al centro dell'incontro, lungo e cordiale, il sequestro dei quattro lavoratori avvenuto il 7 dicembre scorso presso il terminale Eni di Brass nei pressi di Port Harcourt, e la tragica esplosione di ieri a Lagos di un oleodotto in cui hanno perso la vita centinaia di persone.

Paolo Scaroni
ha voluto ringraziare il Presidente Nigeriano per l'intensa attività svolta dalle Autorità centrali e locali nella vicenda del sequestro dei lavoratori, tre italiani e un libanese, auspicando una veloce e positiva soluzione. Il Presidente Obasanjo ha altresì ringraziato il ministero degli Esteri ed Eni per il supporto dato alle Autorità nigeriane nella vicenda dei lavoratori sequestrati.

Scaroni ha confermato e corroborato la scelta delle Autorità Nigeriane di procedere in ambito negoziale per la liberazione dei sequestrati, evitando qualsiasi tipo di intervento armato. Su questo punto, il Presidente Obasanjo ha rassicurato Eni sulla volontà del Governo nigeriano di proseguire le trattative con il gruppo che tiene sequestrati i lavoratori dichiarandosi fortemente convinto di una prossima, positiva soluzione del caso. Nel corso dell'incontro sono stati affrontati anche i temi della sicurezza dei lavoratori Eni in Nigeria, delle infrastrutture industriali per l'estrazione degli idrocarburi, e degli impianti per la produzione di energia elettrica al servizio del Paese africano.

Paolo Scaroni ha espresso i sensi del profondo cordoglio per la tragedia avvenuta ieri a Lagos offrendo al Presidente nigeriano tutta la solidarietà di Eni, e confermando la disponibilità a organizzare un supporto sanitario e sociale a favore della comunità colpita dalla tragedia, come già avvenuto in passato. Il Presidente Obasanjo, sconvolto per l'accaduto, ha ringraziato Eni per la disponibilità e la sensibilità dimostrate in occasione di questo evento che ha scosso tutto il popolo nigeriano.

Paolo Scaroni, su invito del Presidente stesso, si è recato presso il reparto Grandi Ustionati dell'Ospedale Universitario di Lagos per visitare i feriti del rogo provocato dall'esplosione dell'oleodotto assicurando al Direttore Sanitario Femi Olugbile la massima disponibilità della Società per l'assistenza medica e la cura dei casi più difficili.

Eni sta attivando in queste ore le proprie strutture mediche, sia in Nigeria sia in Italia, per rendere concreto il proprio supporto: il responsabile dell'equipe medica italiana in Nigeria si recherà nelle prossime ore presso l'Ospedale Universitario di Lagos per coordinare il lavoro dei medici nigeriani; un'equipe medica di EniMed partirà poi dall'Italia nelle prossime ore per raggiungere con equipaggiamenti e medicinali la capitale nigeriana e unirsi ai medici in loco per effettuare le cure dei grandi ustionati del rogo di ieri.

domenica 24 dicembre 2006

Paolo Scaroni: intervista al Sunday Times

Lo scorso mese Eni - il più grande distributore di gas in Europa e la sesta più grande compagnia petrolifera del mondo - ha annunciato un accordo con il colosso del gas Gazprom che permetterà ai russi di vendere gas direttamente ai consumatori italiani.
"L'accordo che abbiamo firmato con Gazprom è un classico esempio - afferma Paolo Scaroni -. Per realizzarlo ad alti livelli sono necessarie perseveranza e il team giusto". "Il consumo di gas – aggiunge - sta crescendo così tanto che basta stare al suo passo per aumentare il fatturato".

Leggi l'articolo completo sul Sunday Times (in inglese)

giovedì 21 dicembre 2006

Paolo Scaroni - La parola d'ordine è infrastrutture

Le fonti alternative non sono efficaci. Il risparmio energetico non basta. La fame di gas è destinata a crescere nei prossimi anni. Per questo è necessario potenziare gli impianti esistenti. E realizzare in fretta nuovi rigassificatori. In attesa che la tecnologia metta a disposizione soluzioni più efficaci e meno dispendiose al problema dell’approvvigionamento energetico, meglio pensare a come sfruttare al meglio le fonti tradizionali, gas in testa, per far fronte ad un’emergenza già acuta e destinata ad aggravarsi nel prossimo futuro.
Domenico Dispenza, direttore generale della divisione Gas&Power spiega le strategie del gruppo che si muovono su due direttrici: una è quella dei rigassificatori, culminata con l’annuncio di Paolo Scaroni sull’imminente investimento di poco meno di un milione di euro nella costruzione di un impianto al largo delle coste adriatiche. Un’altra è quella dell’ampliamento delle infrastrutture preesistenti, o della realizzazione di reti nuove, grazie anche ad alleanze di respiro internazionale nelle quali Eni possa far valere le proprie competenze e le proprie tecnologie.
Non c’è soltanto la Gazprom con cui Paolo Scaroni ha firmato un accordo che Dispenza definisce “storico”. Si sta lavorando al potenziamento del sistema Transmed, che parte dall’Algeria e attraversando la Tunisia arriva in Italia a Mazara del Vallo; e a quello TAG ( Trans Austria Gasleitung), che trasporta gas russo passando per la Slovaccchia e l’Austria. Questi gasdotti entro il 2008 dovrebbero portare complessivamente 13 miliardi di metri cubi di gas nel nostro paese. Ma a parte tecnologie e infrastrutture, per il sistema dell’energia in Italia servono anche altri provvedimenti e altre cure. Sui temi del risparmio energetico, affrontati di petto dalla Finanziaria 2007, Dispenza si mostra favorevole.
Se si prosegue sulla strada dei piccoli-grandi accorgimenti per la riduzione dei consumi, l’offerta di energia cresce, e con una maggior disponibilità di materia prima, i prezzi calano sensibilmente.
(Panorama Economy - 21 dicembre 2006)

Paolo Scaroni: Il patto dei trent'anni

"La cosa che non mi faceva dormire la notte era quella di svegliarmi alla mattina e leggere che tutto questo gas sarebbe andato verso la Cina, l’India o la Corea, facendoci perdere così questa energia preziosa. Questa era la vera preoccupazione". Così parlò l’amministratore delegato Eni, Paolo Scaroni, in occasione del seminario milanese di inizio dicembre della fondazione Italianieuropei.
Da due settimane, però, le sue notti dovevano essersi fatte decisamente più tranquille, visto che al 14 novembre risale la conclusione dello storico accordo con Gazprom. (...) Eni conta di ricavare circa 6 miliardi di euro l’anno dalla distribuzione del gas russo sul territorio nazionale.
(Panorama Economy, 21-12-2006)

Il Paradosso del 'caropetrolio'

Le crisi energetiche e gli allarmi ambientali possono trasformarsi in una grande opportunità (anche economica), non più rinviabile: uno sviluppo sostenibile basato su razionalità dei consumi e ricerca tecnologica, ridistribuzione equa delle risorse.
Senza dover rinunciare al petrolio. (...) Anche di questo abbiamo parlato con Paolo Scaroni, Amministratore Delegato Eni, sesto gruppo petrolifero mondiale per giro d’affari. “Considerare caro il petrolio a 79 dollari il barile è più una questione di percezione. Ci siamo abituati a pagare poco risorse preziose come il petrolio, il gas ed anche l’acqua, quasi ci appartenessero per diritto divino. Certo, ai prezzi attuali, il petrolio ci sembra caro. Ma se vi venisse in mente di comprare un barile di coca cola o di aranciata lo paghereste più del doppio”. Paolo Scaroni continua: “Una politica mondiale delle risorse basata sulla ragione dovrebbe, attraverso l’educazione e senza ledere le scelte personali, spingere verso un uso più efficiente del petrolio nei paesi industrializzati, piuttosto che colpevolizzare la crescita impetuosa dell’economia cinese o i Paesi produttori di petrolio”.
(Liberazione, 21-12-2006)

Paolo Scaroni: Petrolio giù. Ma sarà l'anno del gas

Il prezzo del petrolio calerà ancora un po’ nel corso del 2007. Ma il prossimo sarà soprattutto l’anno del gas: i consumi saliranno del 2-3%, non poco. E’ questa la previsione di Paolo Scaroni, 60 anni, amministratore delegato Eni, prima società italiana per capitalizzazione di Borsa. “Prevediamo – dice Scaroni per quanto riguarda il prezzo del petrolio – una leggera discesa rispetto ai valori attuali, già più bassi del 10-15% rispetto ai picchi. Ma chi fa previsioni sul petrolio sbaglia, e io non credo di fare eccezioni”. Sul “fronte gas”, Scaroni parla anche degli accordi con la Russia di Putin, ricordando che “l’Italia fu il primo Paese a importare gas dalla Russia. Per questo oggi le trattative con Mosca sono per noi più facili rispetto agli altri Stati dell’Unione europea”.
(Il Mondo, 21-12-2006)

mercoledì 20 dicembre 2006

Eni-Gazprom, l’intesa punto per punto

Il gruppo italiano Eni potrebbe entrare in Novatek con il 19%, i russi di Gazprom in Kazakistan. Entro il 31 dicembre si chiude la parte commerciale dell’accordo firmato a Mosca in novembre dalle due società. Nell’Agreement coinvolta anche l’Enel per partecipare alla gara per Artikgas e per gli assets di Urengoil. Collaborazioni nel gas liquefatto. Come contropartita per l’ingresso in Russia della società italiana guidata da Paolo Scaroni, la Gazprom potrebbe acquisire quote in Libia, Egitto e Ecuador, dove Eni è già presente.
(Il Messaggero, 20-12-2006)

mercoledì 6 dicembre 2006

Paolo Scaroni: dalla Russia con calore

Paolo Scaroni, amministratore delegato Eni, in un intervista a Panorama, spiega il valore dell’accordo firmato martedì 14 novembre a Mosca con i vertici della Gazprom.

"Un eroe che torna dalla lontana Russia con tanto gas da farci stare al calduccio fino al 2035. Ma anche l'uomo che fa penetrare nei gangli dell'economia italiana una specie di Spectre dell'energia. Ci vorrà tempo per giudicare il valore storico dell'accordo che Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni, ha firmato martedì 14 novembre a Mosca con i vertici della Gazprom dopo una lunga trattativa.
Nel frattempo Paolo Scaroni si prepara a festeggiare il suo sessantesimo compleanno godendosi la soddisfazione di avere fatto compiere al suo gruppo, principale cliente mondiale della Gazprom, un fondamentale salto di qualità nei rapporti con la Russia."

Leggi l'articolo "Scaroni: dalla Russia con calore " su Panorama.it

martedì 5 dicembre 2006

Incontro di lavoro tra Alexei Miller e Paolo Scaroni

Oggi presso la sede centrale della Gazprom si è tenuto un incontro di lavoro tra i CEO di Eni e Gazprom, Paolo Scaroni e Alexei Miller.
Le parti hanno affrontato gli argomenti relativi all'ulteriore sviluppo della collaborazione nel settore petrolifero. L'argomento principale è stata l'implementazione dell'Accordo strategico di partnership firmato il 14 novembre 2006 tra Eni e Gazprom.
Alexei Miller e Paolo Scaroni hanno concordato un passo avantifocalizzando quanto previsto nell'accordo per l'ingresso di Gazprom negli asset di produzione e downstream gas di Eni in cambio di una partecipazione Eni agli asset di produzione russi.
(da Milanofinanza: leggi l'articolo completo)

lunedì 4 dicembre 2006

La strategia delle sfide - di Paolo Scaroni

Paolo Scaroni parla dell'Eni di oggi e del futuro, del suo ruolo internazionale e dei suoi successi. L’evoluzione delle scelte e delle innovazioni di Enrico Mattei nelle parole dell’amministratore delegato di Eni.

"Non ho conosciuto Enrico Mattei, se non indirettamente attraverso le testimonianze di quanti hanno vissuto lo sforzo creativo della nascita dell’azienda nel 1953; ma conosco ormai abbastanza bene Eni da avvertire che alcuni brillanti risultati di oggi sono il frutto – plasmato negli anni – di idee e ambizioni che furono proprie dei primi anni della storia dell’azienda. Mi riferisco in particolare a tre straordinari pilastri sui quali il fondatore Eni ha costruito un’impresa e un’idea di impresa straordinariamente moderne e avanzate: l’avvio dell’industria del gas in Italia con almeno un decennio di anticipo rispetto all’Europa, il tentativo di costruire nuovi rapporti di collaborazione con i paesi produttori, la modernizzazione della cultura d’impresa italiana.

Io ritengo – ma non sono il solo – che queste innovazioni abbiano contribuito a cambiare la storia economica dell’Italia e a dotare Eni di un carattere proprio che la differenzia ancora dalla gran parte dei suoi concorrenti. L’intuizione di Mattei di avviare lo sfruttamento del gas italiano prodotto e la metanizzazione del Paese è forse la più importante fra queste, anche se nacque da un “incidente”: l’Agip aveva cercato petrolio in Val Padana, ma aveva trovato il gas.

Per le società petrolifere del tempo, il ritrovamento di gas era considerato una iattura (e lo sarebbe rimasta a lungo) perché di fatto non esisteva un mercato del gas. Basti pensare che in tutta Europa il gas rappresentava meno dell’1% dell’energia complessivamente utilizzata. Mattei – comprendendo le potenzialità del settore – iniziò a posare tubi che portassero il gas ai principali centri di consumo del nord Italia.

La disponibilità di energia a basso costo fu per la rinascente industria italiana un catalizzatore di sviluppo, capace di sostenere il miracolo economico che avrebbe garantito al paese tassi di crescita fra i più alti d’Europa fra il 1957 e il 1962. Alla fine degli anni Cinquanta, l’Italia aveva già una rete di trasporto del gas di 6.000 km, la più estesa al mondo in rapporto al territorio e alla popolazione, la terza in termini assoluti dopo Usa e Urss. Il gas con la cosiddetta “rendita metanifera” rimase per decenni la fonte principale di utili per Eni, consentendo il finanziamento dello sviluppo all’estero anche nelle attività upstream. Da allora e fino alla fine del decennio scorso, Eni ha pienamente realizzato la sua missione di garantire la sicurezza energetica del Paese, dotando l’Italia di uno dei migliori sistemi infrastrutturali del gas al mondo, cosa piuttosto insolita in un paese come il nostro che non spicca certo per la qualità delle infrastrutture.

Ma il panorama è radicalmente cambiato. La liberalizzazione ha tolto a Eni la missione pubblica di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas per l’Italia, e il peso delle attività midstream e downstream gas italiane nel portafoglio Eni si è drasticamente ridotto. Oggi quelle attività contribuiscono all’utile operativo Eni per meno del 15% e sono, invece, le attività internazionali della compagnia a finanziare la crescita. Nondimeno, lo stimolo del modello offerto da Mattei consiste nel trasferire su scala globale i successi realizzati in campo nazionale, con la riproposizione di grandi progetti integrati in paesi dotati di riserve ma privi delle risorse necessarie a svilupparle e in nuovi mercati a elevato potenziale di crescita ma carenti di capacità infrastrutturale. Questo non vuol dire che l’Italia non sia più importante per noi. Ma soprattutto non significa che noi non siamo più importanti per l’Italia. Al contrario, continuo a credere fermamente che Eni sia forse il solo soggetto italiano in grado di confrontarsi alla pari con i grandi paesi produttori. E un rapporto di collaborazione paritaria con i paesi fornitori di gas è e sarà cruciale per garantire all’Italia approvvigionamenti certi a prezzi competitivi. Anche il secondo importante pilastro dell’eredità di Mattei nasce in realtà da una condizione di svantaggio. L’Italia era un paese povero di risorse energetiche e relegato a un ruolo marginale sul piano internazionale. Il mondo del petrolio era dominato da sette grandi società petrolifere an-glo-americane – le cosiddette “Sette Sorelle” – che avevano di fatto il monopolio delle forniture di greggio all’Europa occidentale. Per ottenere il suo “posto al sole” in un panorama di spazi molto limitati, Mattei propose un nuovo sistema di relazioni contrattuali con i paesi produttori. Tale sistema garantiva a questi ultimi sia una maggiore partecipazione ai profitti dalla produzione petrolifera, sia il coinvolgimento paritario nella guida delle attività di estrazione e commercializzazione del greggio: innovazioni radicali rispetto agli equilibri su cui poggiava il potere delle “Sette Sorelle”.

La fine prematura della vicenda umana di Mattei non gli consentì di raggiungere i risultati sperati. Nel 1962, alla morte di Mattei, Eni produceva meno di 160.000 boe/giorno di idrocarburi, di cui 120.000 erano costituiti dal gas prodotto in Italia. All’estero erano attivi soltanto 18 pozzi petroliferi. Mattei riuscì comunque a seminare il terreno sul quale Eni negli anni successivi ha costruito non solo la sua reputazione unica di impresa comunque “diversa”, ma è riuscita a espandersi decennio dopo decennio fino a diventare la sesta compagnia petrolifera mondiale. A inizio 2006, Eni produce oltre 1,8 milioni di barili giorno in oltre 20 paesi e ha costruito solide basi nelle aree produttive a maggiore potenziale di crescita al mondo. Ma oggi, come ieri, la “formula Mattei”, intesa come la capacità di uscire fuori dagli schemi e immaginare soluzioni innovative per cooperare con i paesi produttori, è la vera sfida per Eni e per tutta l’industria petrolifera. In un contesto di accesa competizione, in cui le imprese petrolifere internazionali possono accedere a meno del 20% delle riserve provate di idrocarburi, è necessario tornare all’approccio di Mattei per allacciare nuovi rapporti con i paesi produttori. Ancora una volta, Eni seguirà la strada della collaborazione e della comprensione, cercando soluzioni innovative che vadano incontro alle necessità del paese produttore, pur perseguendo al contempo i propri obiettivi di business. In quest’ottica rientrano i grandi progetti integrati lungo la filiera oil&gas – dalla produzione, al trattamento e trasporto, fino agli impieghi finali a scopi industriali – che consentono l’accesso alle riserve di idrocarburi così come lo sviluppo industriale del paese produttore. La conduzione di tali progetti farà leva sulla disponibilità di un unicum di competenze ingegneristiche e tecnologiche che rappresenta un importante vantaggio competitivo per Eni rispetto ai suoi concorrenti. Un vantaggio che trae le sue origini proprio nel disegno concepito da Mattei di dotare Eni di capacità tecniche di eccellenza al servizio delle attività petrolifere, attraverso le società Saipem e Snamprogetti. Il terzo grande pilastro della creazione di Mattei ha un carattere più filosofico e metodologico, poiché riguarda lo spirito di modernità con cui egli seppe interpretare il concetto di impresa, uscendo ancora una volta al di fuori di schemi precostituiti e conosciuti. Tanto per cominciare, Mattei disegnò la struttura organizzativa Eni secondo i più moderni precetti della scienza organizzativa sviluppati negli Stati Uniti, e a tal fine si rivolse al miglior esperto dell’epoca (la società Booz Allen). Nel formare la sua squadra, Mattei volle le intelligenze più brillanti dell’epoca e non ebbe timore di affidare incarichi di responsabilità ai giovani. Mattei promosse anche una serie di interventi architettonici assolutamente innovativi, come il centro direzionale di Metanopoli e il palazzo Eni a Roma, affidandosi ai migliori esperti di architettura dell’epoca.

Non solo. Egli dedicò molta attenzione alla formazione specialistica del personale e creò nel 1957 la Scuola Superiore per gli Idrocarburi che, a partire dal 1969, prese il suo nome. Molti dei ragazzi stranieri, che hanno frequentato la scuola nel corso degli anni, hanno assunto ruoli importanti nei paesi di provenienza e mantenuto solide relazioni di collaborazione con Eni. Ancora oggi la società continua ad attribuire una grande importanza allo sviluppo sia delle competenze e conoscenze tecniche dei suoi professionisti sia dell’attitudine a lavorare in contesti culturali internazionali. Naturalmente, in oltre cinquant’anni di storia il contesto di riferimento è totalmente cambiato: sono cambiati l’Italia, il mondo, i concorrenti, i temi geopolitici, le logiche di business. Soprattutto è cambiata Eni, allora ente di Stato nella sua infanzia, finanziato dal denaro pubblico, oggi una delle più grandi società petrolifere al mondo, quotata alle borse di Milano e New York. Sarebbe ingenuo riproporre lo stile di Mattei e affrontare le sfide di oggi come lui fece con quelle del passato. La vera eredità che Mattei ci lascia, quindi, è il messaggio, la lungimiranza, la capacità di affrontare i problemi e anche le sconfitte in modo innovativo, la volontà di compiere scelte audaci per costruire il futuro. E su questo messaggio – tuttora presente nel patrimonio genetico Eni vale la pena di investire ancora per alimentare con nuova linfa lo sviluppo di domani".

Paolo Scaroni, Amministratore Delegato Eni

domenica 3 dicembre 2006

L'atomo contro i gas serra - intervista a Paolo Scaroni

Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni, intervistato da Il Sole 24 Ore, ha dichiarato:
“Per salvare l’ambiente servono meno sprechi e il nucleare pulito. Con l’aiuto decisivo della tecnologia possiamo accrescere l’efficienza energetica”. Occorre poi considerare il nucleare pulito, poiché le attuali fonti alternative “sono da perseguire ma non sostituiranno il combustibile fossile”. Gli Usa, ha continuato Paolo Scaroni, sono in cima agli sprechi: “Un americano consuma mediamente 26 barili di petrolio l’anno, un europeo 12. Se gli americani consumassero come gli europei si risparmierebbe l’equivalente della produzione dell’Arabia Saudita. Ma anche gli europei possono ridurre i consumi”.
(Il Sole 24 ore - 3 dicembre 2006)

Leggi l'intervista a Paolo Scaroni

giovedì 30 novembre 2006

La cultura dell'energia - di Roberto Poli e Paolo Scaroni

È stato pubblicato il primo volume dell’Enciclopedia degli Idrocarburi, edita dall’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani e promossa dall’Eni. Ecco la presentazione dell’opera firmata da Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Paolo Scaroni.

Gli idrocarburi sono stati nel ventesimo secolo e rimarranno nei prossimi decenni la fonte energetica di gran lunga più importante, motore dello sviluppo economico e industriale, fattore determinante dell’organizzazione sociale, materia prima strategica al cui destino si sono strettamente intrecciati alleanze, conflitti, questioni geopolitiche e di sicurezza.
Nessun altro settore dell’economia presenta livelli paragonabili di complessità e di incertezza ed è in grado di giocare un ruolo altrettanto rilevante sullo scacchiere internazionale. Conoscere il mondo degli idrocarburi, la loro storia, le caratteristiche tecniche e le prospettive costituisce una chiave di lettura indispensabile per la comprensione dei sistemi internazionali attuali e del loro sviluppo futuro.

L’Enciclopedia degli Idrocarburi dell’Eni nasce con lo scopo di offrire al lettore, specialista e non, una visione chiara e dettagliata di questo settore, affrontando gli aspetti relativi alle vicende storiche, le conoscenze scientifiche, gli elementi e le interrelazioni attraverso cui si articola la catena del valore dell’industria oil and gas, gli sviluppi tecnologici in atto e prevedibili, gli aspetti economici e giuridici che ne influenzano le prospettive.

La prima edizione di quest’opera fu voluta da Enrico Mattei – fondatore e primo presidente dell’Eni, allora E.N.I. (Ente Nazionale Idrocarburi) – che, introducendo nel 1962 l’Enciclopedia del Petrolio e del Gas Naturale, ne sottolineava i caratteri di innovatività tecnico-scientifica, di necessità strategica e di urgenza ideale. Innovatività scientifica, in quanto prima raccolta approfondita e sistematica di monografie nel campo degli studi sulla ricerca e sulla utilizzazione degli idrocarburi nei vari settori industriali e delle cognizioni tecnologiche alla base dell’industria petrolifera. Necessità strategica per un paese – l’Italia di allora, “comparsa per ultima sulla scena petrolifera mondiale” – nel quale l’Eni radicava profondamente la propria missione di contribuire allo sviluppo economico nazionale, operando attivamente a livello internazionale.

Urgenza ideale, infine, per l’esigenza di illustrare le “intraprese e le figure degli uomini che alla valorizzazione di questa sostanza hanno dedicato le loro migliori energie” e per concretizzare la vocazione alla diffusione delle conoscenze in quanto obiettivo connaturato al successo industriale. Nei cinquant’anni della sua storia, iniziata all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale in un’Italia povera di materie prime, l’Eni è diventata una delle principali compagnie internazionali del petrolio e del gas del mondo, oggi presente in circa settanta paesi dove opera in modo responsabile verso i propri stakeholder, investendo nelle persone e nella loro valorizzazione, partecipando allo sviluppo sostenibile attraverso l’integrazione dei temi sociali e ambientali nel processo di crescita.
Guardando indietro alle fasi di inizio delle attività, appaiono nelle loro reali dimensioni la misura del percorso compiuto dall’Eni e la sua capacità di affrontare con successo le numerose sfide che hanno costellato tale cammino. Il patrimonio tecnologico, imprenditoriale e culturale costruito sino a oggi costituisce un requisito indispensabile per affrontare con successo le nuove, complesse prospettive del futuro.
All’inizio del nuovo millennio, il sistema energetico appare oscillare tra due estremi. Da un lato l’emergere di tematiche innovative e nuovi protagonisti, che prefigurano sviluppi radicalmente diversi rispetto al passato; dall’altro il riproporsi di problematiche irrisolte che hanno periodicamente costellato la storia degli idrocarburi.

Guardando ai fenomeni nuovi, lo scenario che si prospetta nell’evoluzione del sistema economico appare caratterizzato da una costante crescita della domanda di energia, con tassi di incremento e provenienze geografiche profondamente diversi rispetto al passato. La strategia dell’industria oil and gas nei prossimi decenni è dominata da due elementi: il primo, tradizionale, è rendere disponibili ai mercati quantità crescenti di idrocarburi; il secondo, nuovo, è operare in linea con la forte richiesta di qualità ambientale.
Verso questi obiettivi convergono i radicali progressi delle scienze e la rapidità dell’innovazione tecnologica, la pervasività della nuova dimensione informatica e della comunicazione, l’entrata in gioco di fonti energetiche alternative, il cui sviluppo viene valutato soprattutto in base alla necessità e all’urgenza di conseguire una elevata compatibilità ambientale. Accanto a questi elementi fortemente innovativi, lo scenario energetico internazionale vede il riemergere di paure e problemi irrisolti che hanno accompagnato tutta la storia dell’industria petrolifera e che, generando atteggiamenti e reazioni di conservazione, possono offuscare la comprensione del nuovo e lo sviluppo delle sue opportunità. È il caso dei timori relativi all’esaurimento delle risorse, del ritorno da parte di alcuni Stati alla ricerca dell’autosufficienza energetica, del ruolo cruciale giocato dal petrolio nelle aspirazioni e nell’instabilità di ampie regioni del nostro pianeta Il sovrapporsi di vecchio e nuovo rischia di ingenerare, nel dibattito culturale come nelle politiche pubbliche e nelle scelte aziendali, viscosità di valutazione delle opportunità e di rallentare la capacità di rispondere positivamente alla domanda di energia, così come si presenta in questo secolo per provenienza, quantità e qualità. Le compagnie, in particolare, si trovano a fronteggiare una situazione in cui convivono e si influenzano reciprocamente scarsità di buone opportunità d’investimento nell’upstream, incertezza degli scenari, forte competitività in tutti i settori della filiera oil and gas, processi di liberalizzazione dei mercati, crescente regolamentazione ambientale.

Per vincere tali sfide è indispensabile una riflessione sulle strategie da perseguire e sulle nuove modalità di generazione del valore in un settore in cui – più che in qualsiasi altro business – il tradizionale dilemma tra crescita e redditività è reso più critico, in misura superiore oggi rispetto al secolo appena trascorso, dall’intensità dei capitali richiesti dai nuovi investimenti e dalla durata dei progetti. Altrettanto importante è che questi temi strategici e questi dilemmi siano al centro delle riflessioni dei decisori pubblici, delle istituzioni finanziarie, delle organizzazioni sociali sulla base di una cultura condivisa, di un insieme di informazioni aggiornate, serie ed esaurienti, capaci di dar conto delle interrelazioni nuove che si stanno determinando tra energia, sviluppo e ambiente. Per questo motivo l’Eni ha dato vita a questa nuova Enciclopedia degli Idrocarburi, per offrire a un ampio pubblico internazionale tutti gli elementi conoscitivi indispensabili a comprendere le potenzialità e le sfide di un settore decisivo per lo sviluppo equilibrato delle nostre economie e delle nostre società.
Con questa iniziativa culturale l’Eni si è posta in una direttrice sia di continuità con l’intuizione e l’opera editoriale promossa da Enrico Mattei, sia di rinnovata prospettiva. Per l’Eni oggi, in continuità con il passato, resta prioritario mantenere attivi i canali di comunicazione con tutte le realtà e i soggetti esterni, individuali e sociali, che dal suo operato derivano servizi, prodotti, ricchezza, ma anche opinioni, stimoli e reazioni in quanto cittadini e istituzioni. Al tempo stesso, per l’Eni continua a essere connaturato al proprio stile di impresa l’obiettivo di fornire un modello di lettura trasparente del proprio modo di operare sui fronti della scienza, della tecnologia e del mercato. Presentare in modo articolato e rigoroso il bagaglio delle conoscenze legate agli idrocarburi e all’energia costituisce una ulteriore manifestazione della politica dell’Eni di diffusione della cultura e della conoscenza connessa con il successo economico. Se da un lato infatti ricerca e innovazione pervadono e sostengono tutte le attività industriali, dall’altro formazione e addestramento per la valorizzazione delle risorse umane interne ed esterne costituiscono elementi indispensabili perché l’impresa consegua pienamente la propria missione.
L’inevitabile evoluzione di impostazione dell’opera si coglie invece nel fatto che concepire all’inizio del nuovo millennio un progetto di enciclopedia, per quanto settoriale, significa accettare la sfida di mettere a sistema contenuti e prospettive in rapidissimo cambiamento, confidando di raggiungere un obiettivo di completezza. Il progetto, certamente ambizioso, è stato affrontato non tanto operando – come in passato – per semplice accumulazione di voci e concetti quanto attraverso una mappatura delle trasversalità e interconnessioni di temi complessi, al cui interno grandi sintesi concettuali e tematiche organicamente collegate possono trovare la propria specifica declinazione. Il tratto più innovativo dell’Enciclopedia degli Idrocarburi è la pervasività, in tutti i volumi e i capitoli in cui si articola l’opera, della questione della sostenibilità ambientale. Lungi dall’essere una problematica separata e aggiuntiva, la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente è considerata e trattata come una modalità intrinseca del sapere e dell’operare dell’Eni in questo settore. Ciò a cui si mira è far emergere un corpus di saperi aggiornato e pienamente rappresentativo della molteplice natura – tecnologica, industriale, economica e geopolitica – degli idrocarburi nel contesto delle nuove tematiche globali che intrecciano energia e ambiente e che sono destinate a influenzare in maniera sempre più radicale lo sviluppo del settore, dei sistemi produttivi, delle economie e delle società nelle diverse aree del mondo.
Questo sapere è offerto a tutti i soggetti interessati, sia nel campo specifico, sia nella società, perché ne possano trarre informazioni, conoscenza, spunti di riflessione e di consapevolezza.

(Roberto Poli e Paolo Scaroni, Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Eni)

Cinquantenario Scuola Mattei - il discorso di Paolo Scaroni

Riporto il link al video del discorso tenuto da Paolo Scaroni, l'amministratore delegato di Eni, in occasione dell'inaugurazione dell'Anno Accademico 2006-2007 del Master Medea e della celebrazione del cinquantenario della Scuola Mattei.

Medea è un Master in Management ed Economia dell'Energia e dell'Ambiente organizzato da Eni Corporate University. Al Master sono ammessi i laureati italiani e stranieri orientati a percorsi professionali in imprese, authorities, enti ed organismi che operano nel settore energetico ed ambientale. Al termine del Master, Eni Corporate University provvede all’inserimento di un congruo numero di allievi nelle Divisioni e Società Eni.

Guarda l’intervento di Paolo Scaroni
Guarda la presentazione del Master Medea

lunedì 27 novembre 2006

Cultura delle infrastrutture per un nuovo paradigma di crescita e sviluppo - di Paolo Scaroni

Realizzare infrastrutture nel nostro Paese richiede enorme fatica. L’AD Eni Paolo Scaroni individua in alcune caratteristiche tipicamente italiane le radici del problema: l’avversione “ipocondriaca” nei confronti di progetti nuovi, la diffidenza verso ciò che è imposto dall’alto e la furbizia tipicamente italiana, unite all’opportunismo politico, costituiscono il principale ostacolo alle necessità di sviluppo del nostro Paese.

"Buon pomeriggio a tutti.

Sono estremamente lieto di vedere tanti illustri personaggi dedicare tempo ed energie al tema delle infrastrutture. Come Presidente della Fondazione Mattei, che ha organizzato questo evento. Come Amministratore Delegato di Eni, un’azienda che sostiene da tempo la necessità di ampliare le infrastrutture nel campo dell’energia. E come Italiano. Credo infatti che lo sviluppo del nostro sistema di infrastrutture sia essenziale per costruire un futuro migliore per il paese.

Sono ormai molti anni che mi batto in prima persona per la realizzazione di infrastrutture - prima in Enel e ora in Eni - con successi alterni. Mi considero un po’ il padre di Civitavecchia e Porto Tolle. Altre volte sono stato meno fortunato, come per il rigassificatore di Brindisi. Ma se ho imparato qualcosa da tutti questi anni, è che realizzare infrastrutture in Italia richiede enorme fatica.

Non tutti i paesi hanno le stesse nostre difficoltà. Guardate ad esempio la Spagna, dove senza battere ciglio hanno costruito ben sette rigassificatori ed una linea ferroviaria ad alta velocità che attraversa il paese.

Perché gli altri riescono a investire nel loro futuro, mentre da noi ogni piccolo passo avanti richiede sforzi smisurati?

Negli anni, mi sono dato qualche risposta, che oggi vorrei condividere con voi.

Il primo problema siamo noi italiani. Accanto alle nostre straordinarie qualità nazionali, abbiamo alcune caratteristiche che ci rendono un po’ diversi. La prima è che siamo un po’ipocondriaci. Temiamo molto per la nostra salute, nonostante siamo uno dei popoli più longevi del pianeta. Abbiamo soprattutto paura di tutto ciò che non conosciamo o non capiamo. Ricordate che, quando è scoppiata in Estremo Oriente la pandemia di aviaria, l’Italia è stato il paese in Europa con il più grosso calo di vendite di pollame?

Naturalmente, queste paure ci attanagliano anche quando di parla di infrastrutture. TAV? Neanche a parlarne. Ripetitori per telefonini? Vade retro. Rigassificatori? Benché non si sia mai verificato un incidente ed in Giappone – paese altamente sismico – ce ne siano 24 dicesi 24 in funzione da trent’anni, i nostri concittadini continuano a guardarli con estremo sospetto. Noi italiani guardiamo con diffidenza anche le linee ad alta tensione, e anche le più modeste linee a bassa tensione che ci portano a casa l’elettricità, nonostante queste esistano in tutti i paesi del mondo.

Ma queste fobie ipocondriache vengono aggravate da un’altra nostra caratteristica nazionale: la diffidenza radicata per qualunque indicazione che si riceve dall’alto. Sarà per ragioni storiche. L’Italia viene, dopotutto, da un passato di oppressione da parte di austriaci, francesi e spagnoli. Fatto sta che non ci fidiamo delle scelte che vengono fatte dalla politica o da altre istituzioni.

Non ci basta, quindi, che esperti dal Ministero della Sanità o del Ministero delle Infrastrutture ci rassicurino dell’ assoluta sicurezza di una nuova infrastruttura. Non ci basta che altri paesi l’abbiano da anni in esercizio senza incidenti. Rimaniamo diffidenti e qui scatta la nostra terza caratteristica nazionale: la furbizia che si estrinseca nel motto nazionale “acca nesciuno è fesso”. E quindi fobie ipocondriache, diffidenza e furbizia portano alla naturale reazione dei nostri concittadini a qualunque progetto infrastrutturale: “Perché proprio qui? Non potete farlo da un’altra parte?”.

A noi tutto ciò sembra ovvio e naturale: Vorrei però farvi presente che non è così dappertutto. Ci sono anche paesi come la Francia o la Spagna nei quali, anche grazie anche ad una politica di incentivi, i comuni fanno a gara per accaparrarsi nuovi progetti, come è successo proprio nei giorni scorsi per la centrale Europea di nuova generazione che verrà costruita a Marsiglia.

Gli italiani dunque sono difficili da convincere quando si tratta di realizzare infrastrutture sul loro territorio. Ma la nostra politica ci mette del suo per cui quello che è difficile diventa sostanzialmente impossibile.

Primo, i nostri politici sono perennemente alla ricerca del consenso. Seguono gli umori dell’elettorato invece che informare e formare l’opinione pubblica sulle scelte necessarie per il bene a lungo termine dell’Italia e degli italiani.

Ma questa propensione a “pedalare in discesa” non è l’unica pecca della nostra politica. L’altro grosso problema è che risulta molto complicato costruire un consenso bipartisan intorno ad una grande o piccola opera infrastrutturale perché la nostra politica si divide su tutto. E non per ragioni ideologiche, ma perché se sono opposizione sono opposizione su tutto e do fiato e forza a qualunque gruppo o gruppuscolo che si oppone alle scelte della maggioranza, anche se in cuor mio le condivido. Non vorrei essere troppo pessimista, ma a volte sembra che il calcolo politico di breve termine prenda il sopravvento sull’interesse a lungo termine del paese.

Il risultato di tutto ciò è che in Italia il sistema è quasi totalmente ingessato. I nostri concittadini sono timorosi e scettici. Ed i nostri leader non sembrano capaci di costruire consensi per opere che sarebbero nel migliore interesse degli elettori.

La buona notizia è che non è troppo tardi per reagire.

La nostra politica deve prima di tutto rendersi conto che lo sviluppo infrastrutturale non è un optional. È una necessità.

E poi, e qui mi rivolgo al Ministro di Pietro, che è qui a rappresentare la politica nella stanza dei bottoni, vorrei suggerire di perseguire con coraggio una politica di realizzazione di quelle infrastrutture di cui abbiamo bisogno, anche se a breve questo potrà portare alla perdita di qualche consenso locale. A lungo termine, le politiche che vanno nella direzione giusta vengono premiate dall’elettorato. Ed all’Onorevole Tabacci, che rappresenta qui l’opposizione seria e coerente mi sento di suggerire di appoggiare i progetti infrastrutturali della maggioranza, che sono indispensabili per il benessere a lungo termine del nostro paese. Anche l’opposizione può trarre beneficio da posizioni sagge e coerenti, anche quando appoggia chi sta al potere. "

(FEEM, Fondazione Enrico Mattei - 27 Novembre 2006)

Visualizza la presentazione della Fondazione Eni Enrico Mattei sul sito www.feem.it

Vedi il video del discorso di Paolo Scaroni - su www.eni.it

martedì 31 ottobre 2006

Paolo Scaroni, AD Eni, e Neelie Kroes, commissario UE per la concorrenza

Paolo Scaroni, Amministratore Delegato dell’Eni, e Neelie Kroes, commissario UE per la concorrenza dibattono sui vincoli del mercato unico dell’energia che in Europa stenta a prendere forma, in un colloquio a due voci con la Stampa il 31.10.2006 .
Poca trasparenza, ha stigmatizzato la signora dell’Antitrust in un discorso tenuto il giorno prima a Lisbona: i colossi europei devono scorporare la rete.
Giusto messaggio, risponde Paolo Scaroni attraverso la Stampa, bisogna fare il mercato senza frontiere e sciogliere il nodo dell’integrazione verticale con una società unica europea per la gestione delle reti comuni.
Nel colloquio a distanza sulle pagine della Stampa la Kroes sottolinea che “dopo aver effettuato un’inchiesta sulla concorrenza nel settore del gas e elettricità si è visto che c’è troppa concentrazione. La conseguenza è che i protagonisti del mercato possono aumentare i prezzi”. Replica Scaroni: “Come ha sottolineato il ministro Amato la piazza rilevante ai fini dell’Antitrust non è nazionale ma europea, influenzata per di più da due soli produttori: Gazprom e Sonatrach. I prezzi li fanno loro. Per questo è importante che l’UE si doti di un ‘Mister Energia’ con competenze sulle relazioni internazionali”. La Kroes evidenzia che la mancanza di liquidità e il legame troppo forte tra le infrastrutture e chi gestisce l’offerta impediscono di fatto l’arrivo di nuovi protagonisti riducono la loro redditività, oltre che la possibilità di scelta per i consumatori. “Vero”, risponde Paolo Scaroni, “occorre avere un mercato più liquido, il che significa disporre di più gas e da diverse fonti, attraverso nuove infrastrutture che competano tra loro. Quando sono arrivato all’Eni ho lanciato un programma di aumento della capacità dei gasdotti che fanno arrivare il gas dalla Russia e dall’Algeria. E accanto a questo non passa giorno che non perori la causa dei rigassificatori”. All’obbiezione della Kroes che l’integrazione sopranazionale fra i sistemi è molto ridotta e che per quanto riguarda il gas è difficile assicurarsi le capacità di transito sulle reti principali, l’AD dell’Eni risponde che è vero che non esiste un reale mercato interno dell’energia e che ci deve essere un disegno comune e piena reciprocità tra Paesi. La Commissione UE è l’istituzione che li deve assicurare.
La Kroes sottolinea come si registri una preoccupante mancanza di trasparenza nei mercati dell’energia e che i poteri di vigilanza devono essere armonizzati. Paolo Scaroni replica che “la trasparenza c’è ma si può fare di più. E l’armonizzazione è un tema centrale. Affinché ci siano scambi transfrontalieri efficaci e le acquisizioni non siano ostacolate da parte dei governi delle varie società coinvolte occorre eliminare le asimmetrie e avere un’Autorità unica europea”.
Per la Kroes l’unica via per ristabilire la credibilità del mercato è una soluzione strutturale che separi una volta per tutte le infrastrutture dell’offerta e la generazione di energia. Con lei concorda l’AD dell’Eni: “Ci attendiamo un’iniziativa di armonizzazione delle misure che l’UE prenderà su questo terreno e che potrà portare alla costituzione della società europea delle reti di trasporto gas”.
“La creazione di un mercato unico dell’energia richiede un cambiamento delle strutture e degli strumenti a disposizione delle autorità “ conclude la Kroes. “Come tutte le innovazioni incontrerà opposizione. La commissione ascolterà ogni proposta costruttiva e farà il possibile per garantire ai consumatori e alle imprese un’offerta di energia sostenibile, sicura e a buon mercato”.

martedì 3 ottobre 2006

Paolo Scaroni intervistato da Affari Italiani

Paolo Scaroni, intervistato da Affari Italiani, fa il punto sul prezzo del petrolio, sulle riserve mondiali, sulle prospettive energetiche delle generazioni future e sui doveri dei Paesi industrializzati.
"L’uso razionale delle risorse del pianeta, delle quali non siamo proprietari ma solo custodi, è un percorso ineludibile per la nostra generazione e soprattutto per aziende leader come Eni.
Lo spreco insito nei comportamenti dei Paesi ricchi amplia la distanza tra Occidente opulento e resto del mondo. Una divaricazione che non possiamo consentire, per ragioni etiche, ma anche per l’instabilità che provoca".
E Paolo Scaroni spiega perché nelle relazioni con i Paesi produttori Enrico Mattei aveva visto giusto.

mercoledì 13 settembre 2006

Discorso di Paolo Scaroni al Terzo Seminario Internazionale OPEC

Paolo Scaroni interviene al Terzo Seminario Internazionale dell'OPEC, Organization of the Petroleum Exporting Countries

Non è la scarsità di riserve di oro nero a mettere sotto pressione gli approvvigionamenti mondiali di petrolio, ma la mancanza di investimenti in tecnologia a cavallo degli anni ’90 che ha ridotto la capacità di produzione e raffinazione dell’industria energetica.

Secondo Paolo Scaroni, Amministratore Delegato di Eni, “vi sono diverse ragioni per credere che le preoccupazioni sull’approvvigionamento globale di petrolio saranno superate nei prossimi anni”.

"Buon pomeriggio Vostre Eccellenze, Onorevoli Ministri, Egregi Delegati.

Desidero ringraziarvi per avermi invitato a rivolgermi a questo illustre pubblico.

Durante l’ultimo Forum Internazionale sull’Energia a Doha abbiamo discusso sulla tematica dell’“Accesso all’energia”. Ci siamo resi conto che non esistono soluzioni semplici su questo argomento e abbiamo richiesto un approccio basato sulla collaborazione tra IOC (Compagnie petrolifere internazionali, ndt) e NOC (Compagnie petrolifere nazionali, ndt).

Oggi vorrei illustrarvi il mio punto di vista su altre tematiche che riguardano tutti noi, ovvero:

  • La garanzia dell'approvvigionamento e la stabilità del mercato.
  • Il pressante bisogno di investimenti consistenti nella catena del valore del petrolio.

Infine spiegherò come potremmo realizzare un’importante piattaforma di cooperazione per affrontare queste difficili sfide.

Per quanto concerne il primo punto, vorrei innanzitutto rendere chiaro il fatto che la sicurezza di approvvigionamento non viene minacciata dalla scarsità degli idrocarburi.

Il mondo non sta terminando le riserve di petrolio, come alcuni profetizzano drasticamente. Al contrario, grazie alla tecnologia, al miglioramento dei processi di recupero, alle esplorazioni con esiti positivi e ai cambiamenti dei presupposti relativi alla politica dei prezzi, la stima delle risorse recuperabili a livello mondiale è cresciuta nel tempo – da appena 600 mld di barili negli anni ’40, ai 2.000 mld di barili degli anni ’70, fino ad arrivare alle recenti stime dell’US Geological Survey (USGS), che delineano un range delle risorse recuperabili tra 3.300 e 3.900 mld di barili.

Inoltre l’U.S. Geological Survey ha stimato che le riserve tecnicamente recuperabili di olio non convenzionale, vale a dire olio pesante e bitume naturale, situati prevalentemente in Canada, Venezuela e Russia, eguagliano le riserve mondiali accertate di olio convenzionale.

Pertanto le riserve recuperabili totali ammontano a quasi 5.000 mld di barili, per una durata superiore ai 100 anni.

Il senso di insicurezza ampiamente diffuso non ha nulla a che vedere con la presunta scarsità di risorse petrolifere. Deriva per lo più da una brusca diminuzione della capacità di sovraproduzione del petrolio, crollata dal 15 percento della domanda globale nel 1985 ad un modesto 2 percento nel 2005.

Questa è una conseguenza diretta degli insufficienti investimenti, una tendenza che l’OPEC ha ripetutamente evidenziato nel corso degli anni ’90.

Purtroppo i Paesi industrializzati non hanno prestato abbastanza attenzione ai moniti dell’OPEC. Molti osservatori occidentali credevano che la sovraproduzione e i prezzi bassi che caratterizzavano questo periodo fossero, come fece notare un noto quotidiano finanziario, “un elemento negativo per i Paesi produttori di petrolio, e un elemento positivo per tutti gli altri”.

Ma, come previsto dai produttori nazionali, i prezzi bassi del petrolio dissuasero inesorabilmente dall’investire in nuovi progetti di esplorazioni e di sviluppo, e in definitiva determinarono l’attuale livello insufficiente di capacità di approvvigionamento petrolifero.

La limitata capacità produttiva inutilizzata non è l’unica causa dell’attuale inquietudine relativa all’approvvigionamento. Anche un ristretto e inadeguato sistema di raffinazione contribuisce al problema.

La causa dell’attuale strozzatura relativa alla raffinazione del petrolio risale all’inizio degli anni ’80, quando il sistema di raffinazione a livello mondiale cominciò ad avvertire l’impatto della sovracapacità strutturale creatasi durante gli anni ’70, per gestire la quale fu compiuto un draconiano processo ventennale di riorganizzazione.

Oggi il sistema mondiale di raffinazione non può né far fronte alla qualità di greggio disponibile, a causa di una capacità di conversione scadente, né soddisfare la domanda crescente e i sempre più rigorosi standard ambientali.

Date queste difficili condizioni, ogni sconvolgimento del mercato, reale o potenziale, causa un effetto drammatico sul prezzo del petrolio e dei prodotti petroliferi. Questo impatto viene amplificato dall’hedging finanziario e dalla speculazione, che in questi ultimi anni hanno raggiunto livelli esorbitanti.

Tuttavia ci sono diverse ragioni per credere che le attuali tensioni mondiali nell’ambito degli approvvigionamenti petroliferi potranno essere superate nel breve periodo.

I sette anni in cui i prezzi sono andati aumentando stanno chiaramente producendo degli effetti sul mercato del petrolio.

Da un lato, gli investimenti nell’esplorazione e nello sviluppo petrolifero stanno aumentando in tutto il mondo. Il limite non è la disponibilità di petrolio, ma la relativa scarsità di personale esperto, di attrezzature per la trivellazione e di altri strumenti essenziali nel nostro settore. Tali carenze sono il risultato di un ventennio di taglio dei costi, riorganizzazioni e ottimizzazioni, operati da un’industria afflitta dall’opinione prevalente che il petrolio fosse diventato una merce come le altre.

Non dobbiamo dimenticare che in tutto il mondo la produzione potenziale è ancora molto elevata.

Molti grandi Paesi produttori sono stati scarsamente esplorati, almeno se li confrontiamo a zone quali gli Stati Uniti, il Canada, e il Mare del Nord, e utilizzano ancora tecnologie obsolete per produrre petrolio. Si pensi, ad esempio, che nella Federazione Russa la quota di recupero del petrolio è solo del 16 percento contro una media mondiale che si attesta sul 35 percento.

D’altro canto la crescita della domanda a livello globale sta iniziando a rallentare, e in tutto il mondo si stanno prendendo in considerazione misure di efficienza energetica.

Dato questo contesto, c’è ancora un margine di crescita della capacità globale di produzione di petrolio del 3% annuo, fino a raggiungere i 100 mb/d entro il 2011. I Paesi non OPEC continueranno a predominare nell’ambito degli approvvigionamenti futuri, almeno fino al 2020, con una quota superiore al 55 percento.

Nel frattempo si stima che la domanda mondiale di petrolio crescerà del 2 percento annuo – soprattutto a causa del settore dei trasporti – e raggiungerà circa 94 mb/d nel 2011.

Tenendo conto di queste stime, la capacità globale di sovraproduzione dovrebbe riprendersi in maniera sostanziale alla fine di questo decennio, eliminando così un fattore chiave dell’attuale crisi petrolifera. E’ ovvio che una persistente carenza di risorse umane e di attrezzature, oppure una crisi politica, potrebbero ostacolare la capacità produttiva a fronte di una domanda crescente. Ma si pensi anche al rovescio della medaglia. Più a lungo persisteranno i prezzi elevati, maggiore sarà l’effetto sulla domanda nel medio-lungo termine.

Anche per quanto concerne la raffinazione, ci sono buone ragioni per essere ottimisti. Secondo le stime, la capacità di raffinazione primaria crescerà di 9,0 mb/d tra il 2006 e il 2011. Il Medio Oriente e l’Asia incideranno su questa nuova capacità per 6 mb/d, mentre un ulteriore 1 mb/d, presumibilmente, si avrà nei Paesi OECD.

In questo scenario, mentre la domanda si sposterà su prodotti più leggeri e di maggiore qualità, si stima che l’upgrading capacity crescerà di 2,8 mb/d tra il 2006 e il 2011 e la capacità di desolforazione aumenterà di 4,6 mb/d.

In generale, ci aspettiamo che la capacità di approvvigionamento sarà sufficiente a fronteggiare l’aumento della domanda, e che la crescente capacità di sovrapproduzione, congiuntamente alla nuova capacità di raffinazione, porterà all’abbassamento dei prezzi.

Ovviamente molti sottolineano gli ingenti investimenti richiesti dall’aumento della produzione, dal trasporto e dalla capacità di raffinazione.

Eppure io non credo che i soldi siano un problema.

Piuttosto ritengo che una sarà l’abilità fondamentale: la capacità di gestire progetti di investimento molto corposi, che sono “price sensitive” e richiedono diversi anni per recuperare il capitale investito. La tecnologia e adeguate abilità gestionali saranno elementi chiave nel futuro sia nell’upsteam, sia nel downstream.

Tecnologie e competenze avanzate sono essenziali per aumentare il recupero del petrolio, per salvare i giacimenti petroliferi dal declino, per raffinare oli pesanti e non convenzionali secondo gli standard cost-effective e per trarre da questi quel tipo di prodotti di cui il mondo avrà necessità.

All’Eni abbiamo sviluppato capacità di prim’ordine lungo l’intera catena del valore del petrolio e del gas e riusciamo a sfruttare capacità distintive e competenze tecnologiche avanzate nei business dell’upstream, gas ed energia, downstream, industria chimica, ingegneristica e delle costruzioni.

Siamo una delle poche compagnie petrolifere globali che ha mantenuto e sviluppato internamente abilità e capacità, a livello ingegneristico e di costruzione, per realizzare progetti integrati vasti e impegnativi - attraverso le nostre affiliate Snamprogetti e Saipem.

Insieme ai campioni nazionali OPEC, possiamo sviluppare progetti innovativi per ottimizzare la produzione e la valorizzazione del petrolio.

Eni ha sviluppato un certo numero di tecnologie in grado di rendere ancora più competitive le fasi dell’esplorazione e della produzione, quali ad esempio il "3D Common Reflection Surface Stack", una nuova tecnologia per investigare il sottosuolo, oppure la trivellazione “Lean Profile”, per realizzare pozzi profondi, verticali o deviati, in condizioni operative difficoltose, come l’ alta pressione e le elevate temperature.

Inoltre possiamo far leva sulla nostra innovativa tecnologia EST (Eni Slurry Technology), che ci consente di sfruttare efficacemente oli pesanti ed ultra pesanti. L’ EST ha grandi vantaggi in termini di flessibilità ed efficienza, conversione totale in distillati di alta qualità – e, ultimoma non meno importante – non produce olio combustibile e coke. Fino ad ora questa tecnologia ha prodotto un guadagno significante per barile se confrontato con le tradizionali opzioni disponibili per raffinazione di oli non convenzionali, quali: Conversione Termica (Delayed Coking), Idroconversione dei residui (Ebullated Bed), oppure una combinazione delle due. E stiamo ancora lavorando allo sviluppo dell’EST, per renderla una tecnologia rivoluzionaria in grado di ottenere la totale conversione del barile in soli distillati medi e benzina.

Naturalmente il petrolio non è l’unica sfida da affrontare.

E’ utile notare che la domanda di gas sta crescendo a ritmi più elevati di quella del petrolio. Nei mercati principali, gli Stati Uniti e l’Europa, il bisogno, in termini di volumi di importazione, crescerà.

Eni è il player n.1 nell’allettante mercato europeo del gas, grazie alla sua lunga esperienza nell’intera catena di valore del gas e alla sua ampia rete di trasporto integrata.
Potremmo aiutarvi nello sfruttamento di riserve remote di gas, attraverso i progetti LNG e GTL, e con la nostra tecnologia High Pressure Transportation per le condutture del gas di lunga distanza.

Abbiamo inoltre sviluppato competenze eccellenti nel business della produzione dell'energia, ambito in cui siamo un operatore attivo in Italia e in ambito internazionale. Possiamo sviluppare tali capacità per aiutarvi a produrre energia elettrica riducendo al contempo le emissioni di gas flaring.

Oltrepassando i confini tradizionali della produzione dell'energia, siamo in grado di offrirvi gli esaurienti Energy Master Plans ed i progetti ad essi correlati. Abbiamo le capacità per concepire iniziative innovative quali, ad esempio, la combinazione di impianti energetici alimentati a gas e unità di energia termica-solare.

Questi sono solo alcuni dei modi in cui vi possiamo aiutare ad accrescere il volume del petrolio e del gas destinati all’esportazione, soddisfacendo efficientemente i vostri aumentati fabbisogni domestici.

In conclusione, è giunta l'ora per un radicale cambiamento del ruolo dell'OPEC nei confronti del mondo.

Oggi i produttori OPEC hanno l'opportunità di divenire esportatori di energia e prodotti, e non più solamente di materia prima – greggio.

Questo è il miglior momento per attuare questa transizione. Un così alto prezzo del petrolio ci offre l’opportunità di investire nel futuro. Ma dobbiamo muoverci in fretta. La storia ci insegna che prima o poi il mercato reagirà. L’improvviso ed inaspettato collasso degli anni ’80, dopo le follie degli anni ’70, è qualcosa che dovremmo tenere bene a mente.

Cogliete l'attimo e scegliete dei buoni partner per sfruttare al meglio l'opportunità che avete. All'Eni speriamo di potervi aiutare a vincere la vostra sfida e raggiungere i vostri obiettivi.

Grazie per la vostra attenzione."

Paolo Scaroni, Amministratore Delegato Eni
Vienna, 13 settembre 2006

Vedi il video del discorso di Paolo Scaroni - su www.eni.it
Vedi anche l'intervista con Paolo Scaroni al 10° International Energy Forum Opec di Doha

giovedì 24 agosto 2006

Energia al di là e al di qua delle Alpi - Discorso di Paolo Scaroni

Discorso di Paolo Scaroni al Meeting Comunione e Liberazione, Rimini, 24 agosto 2006

L’età del petrolio sta davvero volgendo al termine? Perché il prezzo è così alto?
Il numero uno di Eni Paolo Scaroni mostra ottimismo e ridimensiona gli allarmismi.
Per il nostro futuro, però, sono necessari l’utilizzo efficiente e razionale dell’energia e maggiori investimenti nella ricerca e nella tecnologia.

"Buon pomeriggio a tutti,

come potete immaginare, con il lavoro che faccio, di questi tempi non mi si parla d’altro che di petrolio. Anche nei giorni scorsi, in vacanza, venivo avvicinato da amici, ma anche da semplici curiosi, che, preoccupati dei prezzi record della benzina, mi tempestavano di domande: l’era del petrolio sta volgendo al termine? O sono i paesi produttori che approfittano della instabilità politica internazionale per speculare a scapito del consumatore? Oppure, è la Cina che, con la sua crescita vertiginosa, assorbe quantità crescenti di energia facendo schizzare verso l’alto il prezzo del greggio?

Voglio approfittare di quest’opportunità che mi date di essere qui, tra di voi, per cercare di rispondere a queste domande ed anche per parlare di risorse, di risorse scarse e dell’uso che ne fa l’uomo. L’uomo, che vive la ragione come apertura alla realtà e guarda alle risorse come ad un bene che gli è stato affidato e di cui deve rendere conto.
Partiamo dalla domanda più frequente: ma di petrolio ce n’è ancora sotto terra? Oppure l’era degli idrocarburi fossili sta finendo e i prezzi che vediamo oggi segnalano proprio l’avvicinarsi della fine?
Vi dico subito che di petrolio nel mondo ce n’è. Ed anche tanto.

Attualmente, il nostro pianeta dispone di riserve cosiddette “certe” per oltre mille miliardi di barili. Queste riserve certe sono più di tutto il petrolio che è stato consumato dall’inizio dell’era petrolifera dalla seconda metà dell’800 fino ad oggi.

Ma per capire quanto petrolio ci rimane, alle riserve certe, dobbiamo aggiungere le riserve “probabili” e quelle “possibili”.
In totale ci sono sotto terra almeno altri 5 mila miliardi di barili. Di che soddisfare i consumi del mondo per i prossimi 70 anni.
Ma se di petrolio ce n’è tanto, perché i prezzi sono alle stelle?

  • La risposta a questa domanda è che per molti anni il prezzo del petrolio è stato basso, troppo basso. Dal 1986 al 2001, il prezzo medio del greggio è stato di 18 $ al barile. Nello stesso arco di tempo, ha subito due veri e propri collassi – nel 1986 e nel 1998 scendendo persino sotto i 10 $.
  • In quegli anni, con quei prezzi, i Paesi Produttori e le Compagnie Petrolifere non avevano né l’interesse né i mezzi finanziari per investire nell’esplorazione di nuovi giacimenti, nello sviluppo di quelli già scoperti, in nuove raffinerie ed in tutte quelle infrastrutture indispensabili per fare arrivare al consumatore i prodotti raffinati come benzina e gasolio.
  • • Quindi, mentre di petrolio sotto terra ce n’è in abbondanza, la capacità di estrarlo, trasportarlo e raffinarlo non ha tenuto il passo con la crescita della domanda. In questo momento, la capacità di estrarre petrolio in eccesso che non deve essere utilizzata per far fronte alla domanda è appena il 2%. In questa situazione di tensione è ovvio che ogni stop alla produzione, sia che si tratti di quello causato l’anno scorso dall’uragano Katrina nel Golfo del Messico oppure quest’anno dai sabotaggi della guerriglia in Nigeria, produca un’impennata dei prezzi del barile. L’impennata viene poi amplificata dai milioni di “barili di carta” che la speculazione internazionale compra e vende ogni giorno cercando di anticipare la fluttuazione dei prezzi del petrolio vero.
  • Va detto che quanto sta succedendo, petrolio ai massimi storici e minacce alla sicurezza degli approvvigionamenti, si poteva evitare. Già nella prima metà degli anni 90, quando il petrolio oscillava intorno ai 15 $ al barile, l’OPEC invocava un dialogo con l’Occidente per spingere il petrolio ad un prezzo più alto, almeno 20$ che permettesse ai Paesi Produttori di investire nello sviluppo dei giacimenti. Questa richiesta non trovò ascolto. I paesi industrializzati pagano oggi con gli interessi la bonanza del tanto petrolio a buon mercato di quegli anni.

Il caro-greggio non è quindi dovuto ad una scarsità della materia prima. E’ piuttosto, il prezzo che paghiamo per la nostra miopia negli anni 90.
Tra l’altro non sono i paesi produttori i principali responsabili degli alti prezzi che paghiamo alla pompa.
Il barile, il cui prezzo in questi giorni oscilla intorno ai 70 dollari, quando andiamo a fare il pieno lo paghiamo più di 200 $. La maggior parte del prezzo dei carburanti in Italia ed in Europa sono tasse. Ed infatti quando i paesi produttori vengono colpevolizzati dai governi occidentali per gli aumenti del prezzo del greggio si difendono dicendo non senza ragione: abbassate voi le tasse se volete proteggere il consumatore.
E poi chi l’ha detto che, a 70 dollari al barile, il petrolio è caro?
La realtà è che ci siamo abituati a pagare poco risorse preziose come il petrolio, il gas ed anche l’acqua, neanche ci appartenessero per diritto divino.
Certo ai prezzi attuali il petrolio ci sembra caro. Ma se vi venisse in mente di comprare un barile di coca-cola o di aranciata lo paghereste più del doppio.
Il paradosso è che ci lamentiamo per i prezzi alti del petrolio, ma continuiamo imperterriti a perseguire comportamenti e politiche energetiche assolutamente folli.
A rigor di logica, a fronte degli aumenti che si susseguono dal 2001, oggi il petrolio costa 4 volte di più che 5 anni fa, il consumatore avrebbe dovuto modificare i suoi comportamenti. Anche la politica sarebbe dovuta intervenire sulla domanda, scoraggiando sprechi e consumi eccessivi. Su questo terreno, i grandi consumatori, Stati Uniti ed Europa in testa, hanno fatto poco o niente.
Negli Stati Uniti la domanda di petrolio non ha fatto che crescere anno dopo anno.
Mode e stili di vita irrazionali hanno spinto all’insù i consumi di benzina. Metà dei 17 milioni di automobili vendute negli Stati Uniti ogni anno sono SUV, gipponi che percorrono solamente 4 o 5 chilometri con un litro di benzina, mostri inefficienti, inutili ed inquinanti.
Anche per questa ragione gli americani sono i più voraci consumatori di petrolio al mondo. Ogni americano brucia 26 barili di petrolio all’anno contro i 12 dell’ europeo, i 2 del cinese. L’indiano è in coda alla classifica con meno di 1 barile all’anno.

E se individualmente cinesi ed indiani non possono certo dirsi grandi consumatori di petrolio, anche collettivamente consumano poco. Nonostante la crescita vertiginosa degli ultimi anni, la Cina rappresenta ancora meno dell’8% della domanda petrolifera globale. Anche se continuasse a crescere a questo ritmo, il suo impatto sul mercato del petrolio sarebbe contenuto, almeno nel medio periodo.
Una politica mondiale delle risorse basata sulla ragione dovrebbe, attraverso l’educazione e senza ledere le scelte personali, spingere verso un uso più efficiente del petrolio nei paesi industrializzati, piuttosto che colpevolizzare la crescita impetuosa dell’economia cinese o i Paesi produttori di petrolio.
Al contrario, con i Paesi del petrolio, giustamente protesi verso uno sviluppo economico accelerato, bisogna saper costruire nuove alleanze. Noi abbiamo tecnologie, competenze, capacità di gestione. Loro l’energia che muove il mondo. Dobbiamo essere capaci di promuovere alleanze intorno allo sviluppo di progetti integrati sul loro territorio al servizio dei loro obbiettivi di strategia paese. Per noi di Eni, che da sempre, dai tempi di Mattei, sviluppiamo modelli di cooperazione innovativi e solidali tutto questo non è una novità.
Ed è anche importante che questo nostro sforzo di cooperazione sia accompagnato dall’azione della nostra politica estera. Proprio come stiamo facendo ora per il processo di pacificazione in Libano.
E se vogliamo che l’economia globale continui a crescere, migliorando condizioni e durata di vita di centinaia di milioni di abitanti del nostro pianeta, finora esclusi dalla civiltà del benessere, abbiamo bisogno di energia. Tanta e ad un costo sostenibile per tutti, ma soprattutto per quei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina che non hanno petrolio e che, loro si, patiscono davvero il barile alle stelle sul cui prezzo tanto pesa il consumo irrazionale del cittadino occidentale.

E poi, lo dicevamo prima, le riserve di idrocarburi coprono solo i nostri consumi dei prossimi 70 anni. Questo vuol dire che, continuando così, i figli di molti di voi, in questa sala, vivranno in un mondo senza petrolio. Per fortuna non mancano le risposte della scienza e della tecnologia a questo problema:
le rinnovabili, innanzitutto: eolico, solare, geotermico, biomasse. Con le tecnologie attuali, queste fonti rappresentano ancora troppo poco per incidere sulle dinamiche del mercato dell’ energia. Ma nei prossimi 30/40 anni, continuando ad investire in innovazione, il loro contributo al consumo energetico mondiale diventerà significativo.
Ci sono poi i biocarburanti, idrocarburi vegetali prodotti soprattutto da canna da zucchero e olio di palma. Nuove tecnologie consentono a grandi paesi tropicali come Brasile ed Indonesia di sostituire in quantità crescente con questi carburanti vegetali gli idrocarburi fossili.
Dobbiamo soprattutto continuare ad investire sia nella ricerca per produrre idrogeno da carbone, sequestrando la CO2, sia in quella per un nucleare a bassa produzione di scorie. Carbone ed uranio sono risorse abbondanti nel nostro pianeta e potranno realizzare il sogno di fornire energia a basso costo per molte generazioni.
Mentre scienza e tecnologia costruiscono il futuro energetico dell’umanità, la sfida è prolungare l’era degli idrocarburi fossili. Per farlo dobbiamo investire con convinzione sull’unica fonte di energia alternativa che può avere un impatto formidabile sul mercato del petrolio: l’uso efficiente e razionale dell’ energia.
Voglio farvi un esempio di quanto grande è il potenziale di riduzione dello spreco.
Il parco automobilistico americano marcia, in media, 7 km con un litro di carburante. Quello europeo, dove qualche cosa si è fatto in tema di efficienza dei consumi, percorre in media 13km con un litro. Se, senza divieti limitativi delle libertà personali, si convincesse il consumatore americano ad acquistare automobili efficienti quanto quelle europee, si risparmierebbero 4 milioni di barili di petrolio al giorno e cioè l’intera produzione dell’Iran, il terzo esportatore mondiale di petrolio.

Ma perché bisogna accontentarsi di un parco macchine che fa 13 km con un litro? Anche l’Europa non è poi così virtuosa. Esistono oggi auto confortevoli che fanno più di 20 km con un litro. E allora se tutte le automobili di Europa, Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone, insomma di tutti i paesi ricchi grandi consumatori di petrolio, facessero in media 20 km con un litro, si risparmierebbero più di 10 milioni di barili al giorno, cioè tutta la produzione del primo produttore al mondo, l’Arabia Saudita e, per inciso, più di tutto il consumo di Cina e India messe assieme.
Questo sarebbe un risultato formidabile che sconvolgerebbe il mercato del petrolio facendone scendere precipitosamente il prezzo.
Ma questa dei “mostri della strada” che sprecano una risorsa preziosa del nostro pianeta è sono solo una delle follie del nostro mondo. Ecco ne un’altra. Guardiamo di nuovo al Nord America ed all’uso che lì si fa del riscaldamento e del condizionamento. Non ho mai capito perché, negli Stati Uniti, d’inverno le case debbano essere surriscaldate e si deve stare in maglietta, mentre, d’estate serve il cappotto per sopravvivere in uffici e ristoranti con temperature glaciali. Tutto ciò comporta consumi energetici per riscaldamento e condizionamento del 30% più elevati di quelli europei.

Pensate. Se il mondo industrializzato avesse un parco auto efficiente e se gli americani fossero disposti ad adeguare il loro stile di vita in termini di riscaldamento e di condizionamento agli standard Europei, si risparmierebbero 15 milioni di barili al giorno quasi il 20% del consumo mondiale di petrolio, prolungando di almeno 20 anni l’era degli idrocarburi fossili.
L’uso razionale delle risorse del pianeta delle quali non siamo proprietari, ma solo custodi, è un percorso ineludibile per la nostra generazione e soprattutto per aziende leader come ENI. Lo spreco insito nei comportamenti dei cittadini dei Paesi ricchi amplia la distanza tra un Occidente opulento ed il resto del mondo. Una divaricazione che non possiamo consentire, per ragioni etiche, ma anche per l’instabilità che provoca. Chiudere questo gap è un’opportunità per rafforzare i Paesi meno sviluppati e renderli parte dell’economia globale, aiutandoli ad evitare gli errori che abbiamo commesso noi nell’uso della risorsa energia.
Se prendiamo conoscenza di tutto ciò, e, se sapremo modificare il nostro comportamento individuale in modo razionale, arriveremo al tempo in cui il petrolio potrà non essere più la fonte energetica primaria perché sarà rimpiazzato da altre risorse. E anche le compagnie petrolifere, quelle che vedono nel cambiamento un’opportunità per crescere ed innovare, potranno soddisfare i fabbisogni energetici del nostro pianeta in modo equilibrato e sostenibile continuando a creare valore per i loro azionisti. Su questo terreno, Eni vuole essere in prima linea. Lo vogliamo per ragioni di efficacia economica, ma anche per la responsabilità che portiamo di fronte a coloro che verranno dopo di noi.
Questa è la nostra sfida per il futuro."

Paolo Scaroni, Amministratore Delegato Eni
Rimini, 24 agosto 2006


Vedi il video del discorso di Paolo Scaroni - su www.eni.it

lunedì 14 agosto 2006

Quanta energia ci rimane? - Discorso di Paolo Scaroni

L’Italia, che lo si voglia o no, va a gas. L’AD Eni, Paolo Scaroni, indica le quattro vie da seguire per garantire al Paese approvvigionamenti sicuri e prezzi convenienti: costruire i rigassificatori, interconnettere via tubo l’Italia con i Paesi che già dispongono di terminal GNL, diversificare le fonti di approvvigionamento e utilizzare l’energia in modo razionale.

"Alcuni elementi di chiarezza sul tema del gas.

L’Italia è stata precursore nell’utilizzo del gas. Enrico Mattei alla ricerca di petrolio negli anni 50, trovò in pianura Padana il gas ed ebbe l’intuizione di usarlo come “combustibile” per il rilancio del Paese che usciva distrutto dal dopoguerra. Creò la rete di trasporto (oggi si chiamerebbe Snam Rete Gas) e di distribuzione (oggi sarebbe Italgas) più sviluppata del mondo. Oggi l’Italia attraverso Eni dispone di tutte le competenze del settore del gas e consumi tra i più alti al mondo: 2 case su 3 sono riscaldate a gas, più di metà dei consumi energetici della nostra industria manifatturiera è alimentata a gas e soprattutto, unico caso a livello “planetario”, il 60% della nostra energia elettrica è prodotta bruciando gas.

Quest’ultima scelta, in particolare, non so quanto sia stata saggia perché ci allontana da altri paesi industrializzati che producono elettricità da carbone e nucleare, con un mix coerente, efficiente e soprattutto poco costoso.
Ma tant’è, questa scelta è stata fatta investendo negli ultimi dieci anni almeno 20 miliardi di euro in nuove centrali elettriche a gas. A questo punto siamo di fronte ad una scelta obbligata:

1) dobbiamo avere tutto il gas che ci serve,
2) ai prezzi più bassi possibile,
3) con quella sicurezza di approvvigionamento che è indispensabile per un Paese che senza gas sta al freddo, arresta le sue fabbriche e soprattutto “spegne la luce”.

Con questo background, lo scorso inverno abbiamo assistito con trepidazione alle “dispute” politico-commerciali tra Russia e Ucraina e assistiamo oggi con preoccupazione all’accordo-saldatura tra i nostri due grandi fornitori di gas, la russa Gazprom e l’algerina Sonatrach, che insieme contribuiscono a più del 70% delle nostre forniture di gas.
E quindi?

1) Costruire rigassificatori in Italia che dispongano di gas liquido (GNL) proveniente da paesi remoti non collegati via tubo e costituiscano un’alternativa/concorrenza ai due grandi fornitori. Solo in questo modo si può creare un contesto concorrenziale: e questa sì che è la vera liberalizzazione, con effetti sui consumatori.

2) Interconnettere l’Italia via tubo con quei paesi che stanno realizzando o hanno già i rigassificatori come Spagna, Francia, Belgio, assicurando la sicurezza di approvvigionamento a livello europeo.

3) Dobbiamo diversificare le nostre fonti di approvvigionamento soprattutto per la produzione di energia elettrica usando più carbone pulito e forse anche riaprendo il tema del nucleare come stanno facendo in molti paesi (Finlandia, UK, USA). Per inciso, mentre stiamo parlando sono in costruzione 29 centrali nucleari nel mondo.

4) Una grande campagna di risparmio energetico e di utilizzo di fonti alternative rinnovabili a buon mercato. Su questo terreno si può fare moltissimo. Sono convinto che si possano ridurre o rimpiazzare i nostri consumi fino al 20% con effetti benefici sulla sicurezza degli approvvigionamenti, sul nostro portafoglio e sull’ambiente che ci circonda."

Paolo Scaroni, Amministratore Delegato Eni
Cortina Incontra, Cortina d’Ampezzo, 14 agosto 2006

Vedi il video del discorso di Paolo Scaroni - su www.eni.it

martedì 8 agosto 2006

Paolo Scaroni: la Governance dell'energia

Paolo Scaroni, CEO di Eni, ha tenuto questo discorso all'Aspen Institute a Roma.

I processi di liberalizzazione del mercato del gas sui quali l'Europa e l'Italia hanno concentrato i propri sforzi negli ultimi 8 anni ''si rivelano inefficaci''.
Ad esserne convinto è l'AD Eni Paolo Scaroni, che sottolinea la necessità di una nuova strategia rispetto alle sfide poste dal comportamento dei Paesi fornitori di gas attraverso le grandi società oligopolistiche pubbliche.

"Vorrei parlarvi oggi di un argomento che è diventato uno dei più importanti temi di governance globale dei nostri tempi: l’approvvigionamento energetico mondiale. Non c’è dubbio che al top dell’agenda degli incontri dei leader di tutto il mondo ci sia in questo momento il tema della governance dell’energia, del petrolio che ha raggiunto prezzi impensabili fino a qualche anno fa, ma soprattutto del gas naturale il cui mercato, più di ogni altro mette in evidenza, tutti insieme temi economici, politici, ed addirittura strategico militari.

Non è un caso che l’energia sia il tema principe del vertice G8 di San Pietroburgo della prossima settimana.
E poi, le tematiche dell’approvvigionamento energetico non appassionano più soltanto gli addetti ai lavori, ma hanno assunto grande visibilità per l’opinione pubblica: il consumatore europeo ha appreso, l’inverno scorso, che la crisi politico economica tra Russia e Ucraina, che trae origine dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, può avere un effetto immediato sulla sua vita di tutti i giorni.

Il gas, è diventato un combustibile “pregiato” per le sue qualità ambientali e per le ampie possibilità di utilizzo: dall’industria al settore termoelettrico, agli usi civili, alla chimica, all’autotrazione, ma questa fortuna è un fatto recente. Ai tempi di Mattei, la scoperta di gas era vissuta come una iattura più che come un successo perché il gas era considerato un sottoprodotto del petrolio, buono quasi soltanto per essere bruciato ai pozzi.
Da allora, nell’arco di cinquant’anni, il peso e il valore del gas fra le fonti di energia primaria sono cresciuti dapprima nei settori civile e industriale, dove il gas ha progressivamente rimpiazzato il gasolio e l’olio combustibile e poi, in anni più recenti con l’utilizzo massiccio nella generazione elettrica.

L’impiego del gas in centrali elettriche a ciclo combinato ha rappresentato un vero breakthrough tecnologico: il rendimento elevatissimo di queste centrali accoppiato all’efficienza ambientale ha rappresentato il volano della crescita dell’impiego del gas nel settore elettrico. Questa scelta di elettricità da gas è stata un fenomeno globale: pensate che negli Stati Uniti fra il 1998 e il 2005 le centrali a gas hanno rappresentato il 95% del totale della nuova capacità termoelettrica. E in Europa le centrali a gas hanno rappresentano il 75% della nuova capacità termoelettrica costruita negli ultimi 10 anni.

In un contesto di disponibilità pressoché illimitata di gas a prezzi bassi l’impiego massiccio del gas nella generazione elettrica è stata per paesi come l’Italia una scelta logica. Non so se sia stata una scelta anche saggia ma, in un contesto di rifiuto del nucleare e di diffidenza verso il carbone, lo sviluppo della capacità a gas è stata forse una scelta obbligata. Oggi l’Italia, unico paese al mondo che produce da gas il 60% della sua elettricità, deve affrontare un contesto di mercato radicalmente cambiato.

Infatti, mentre il consumo del gas cresce a tassi mai visti prima, l’offerta non ha una dinamica altrettanto vivace.

Dal 2003, l’abbondanza di gas di un tempo e i bassi prezzi si sono trasformati in scarsità relativa e prezzi stellari. Vi faccio un esempio: il prezzo al National Balancing Point per mille metri cubi di gas nel 1998 si aggirava intorno ai 60 euro. Per la stessa quantità, nel 2000 il prezzo era mediamente di 100 euro, nel dicembre 2005 il prezzo medio è stato di 465 euro. Con la fine della stagione fredda, i prezzi sono tornati intorno ai 180 euro, ma il future a gennaio 2007 è risalito al prezzo stratosferico di 500 euro per mille metri cubi.

Soltanto di recente i legislatori nazionali e sovranazionali hanno iniziato a ripensare le scelte di politica energetica fin qui compiute, per adeguarle a un contesto di scarsità di gas. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno saputo rispondere con prontezza all’emergenza varando - già con l’Energy Bill dell’estate 2005, incentivi alla generazione elettrica non alimentata a gas (a carbone, nucleare e da fonti rinnovabili) e di promozione dell’efficienza energetica.

Anche l’Europa deve porsi il problema politico della sicurezza degli approvvigionamenti, tanto più che si delinea in modo sempre più netto uno scenario di aspra competizione fra paesi consumatori per accaparrarsi i futuri approvvigionamenti di gas.

Con la convergenza dei mercati regionali del gas verso un unico mercato globale del GNL, infatti, si sta scatenando una competizione per le forniture: chi avrà disponibilità di gas liquido, la indirizzerà verso il mercato disposto a pagare meglio. E i paesi europei saranno nella scomoda condizione di paesi compratori in un mercato del venditore.

Lanciamo uno sguardo allo scenario che abbiamo di fronte a noi per il mercato del gas in Europa ed in Italia.
Iniziamo dal fabbisogno europeo. Nel caso di ulteriore forte crescita della domanda, sostenuta da politiche energetiche e ambientali che scoraggiano carbone e nucleare e tenendo conto del declino delle produzioni interne avremo un fabbisogno incrementale al 2012 di circa 200/220 mld mc.

Si tratta di volumi enormi e la domanda cruciale che dobbiamo farci è: Dove troveremo tutto questo gas?

Una parte di questa domanda incrementale potrà essere soddisfatta tramite importazioni via tubo, circa 90 mld mc. Questo vuol dire che gran parte dei nuovi approvvigionamenti dovrà arrivare in Europa via GNL.
Anche ammettendo che in Europa riuscissimo a costruire la capacità di rigassificazione necessaria (circa 12 rigassificatori), per ricevere il GNL resta il problema della disponibilità del gas e della capacità di liquefazione. Questo è il vero collo di bottiglia della catena GNL. Per soddisfare il fabbisogno europeo di GNL al 2012 - circa 110-130 mld mc - dovremmo riuscire a contrattare per l’Europa tutta la capacità di liquefazione mondiale (esistente e potenziale) ancora libera. Ma una volta che l’Europa riuscisse ad accaparrarsi tutta la capacità di liquefazione disponibile, chi alimenterebbe la crescita dei consumi della Corea, di Taiwan, del Giappone, degli Stati Uniti e anche di Cina e India?
Anche l’Italia è parte del problema europeo con l’aggravante di usare il gas più di tutti.

La domanda italiana di gas al 2012 sarà di circa 15 mld mc più alta di quella attuale
A fronte di questa crescita dei consumi, Eni già ben prima del 2012 avrà realizzato i potenziamenti del TAG e del TTPC per 13 mld mc all’anno di nuova capacità di importazione destinata a operatori terzi, cui si aggiungono 4 mld mc/a di incremento di capacità sul TAG - già programmati da anni. Inoltre, al 2012 dal Greenstream libico opportunamente potenziato arriverà una capacità di trasporto aggiuntiva di circa 6 mld mc all’anno.
A questi 23 mld di mc di capacità di trasporto aggiuntiva via tubo bisogna aggiungere il GNL che arriverà al terminale di Rovigo dalla Exxon e di un possibile nuovo terminale che mi auguro sia di ENI, per una capacità di importazione complessiva di ulteriori 16 mld mc/a.
In sintesi, al 2012 avremo una capacità di importazione incrementale rispetto al 2005 di circa 40 mld mc all’anno, a fronte di un incremento di domanda di 15 mld mc al 2012.

Tutto bene dunque? Abbiamo risolto i nostri problemi di approvvigionamento del gas? Non proprio.
Nessuno ci garantisce che Gazprom e Sonatrach vorranno continuare ad accrescere il livello di fornitura del loro gas all’Italia e non ambiscano piuttosto a conquistare mercati con prospettive di crescita più sostenuta, per diversificare i loro mercati di sbocco e impadronirsi di spazi e margini maggiori.

Tutti i segnali che riceviamo dal mercato ci indicano che i nostri fornitori oligopolisti non vogliano aumentare i volumi del gas venduto al nostro paese ma mirino piuttosto ad accrescerne il valore con prezzi più alti e l’accesso diretto al mercato finale fino possibilmente a staccare la bolletta ai nostri concittadini.

E di fronte a questo scenario i processi di liberalizzazione sui quali l’Europa e l’Italia hanno concentrato sforzi ed energie negli ultimi 8 anni si rivelano inefficaci. Ci vuole una nuova strategia rispetto alle nuove sfide poste dal comportamento dei nostri fornitori, grandi società oligopolistiche pubbliche.

Non posso a questo punto non fare un accenno al prezzo del gas in Italia per sfatare un mito duro a morire: si dice in molte sedi - anche istituzionali - che il prezzo del gas nel nostro paese sarebbe fra i più alti in Europa.
Vorrei ristabilire la verità: il prezzo italiano del gas per il settore civile al netto delle tasse è il più basso fra i principali paesi europei importatori: Francia, Germania e Spagna.
Per quanto riguarda il settore industriale, il prezzo pagato dai clienti italiani è il più basso fra i paesi importatori per la piccola industria, e comunque inferiore alla media per la media industria. Soltanto la grande industria può legittimamente esprimere qualche lamentela.

Ciò detto, e mi scuserete sull’inciso sul prezzo del gas in Italia ma il tema mi sta davvero a cuore, voglio tirare qualche conclusione su come l’Europa e l’Italia possono affrontare un futuro nel quale di gas ce ne sarà poco, ci sarà molta concorrenza tra paesi e continenti per gli approvvigionamenti, sarà quindi costoso e rimarrà nelle mani di grandi società controllate da governi le quali, nella migliore delle ipotesi cercheranno, a nostre spese, di massimizzare il valore di questo combustibile che è divenuto essenziale per la nostra vita.

La soluzione del problema della sicurezza degli approvvigionamenti non è cosa né immediata né semplice. Ma ci sono 4 cose che possiamo fare da subito:

  • Occorre realizzare le infrastrutture GNL e di stoccaggio, come presupposto per migliorare la sicurezza e la flessibilità del sistema di approvvigionamento del gas in Europea ed in Italia moltiplicando il numero dei fornitori.
  • Bisogna interconnettere i singoli mercati nazionali in modo da permettere il convogliamento di volumi là dove si creino deficit di offerta.
  • Accanto agli interventi per l’incremento dell’offerta, occorre governare anche la domanda, incentivando la diversificazione delle fonti e l’efficienza nell’uso dell’energia, sulla linea di quanto stanno facendo gli Stati Uniti.
  • Infine, occorre contemperare le esigenze di tutela ambientale con quelle di sicurezza energetica, poiché, inevitabilmente, questi due vincoli sono interdipendenti. È evidente che penalizzare il carbone o il nucleare in uno scenario di scarsità di gas amplifica in modo drammatico il problema. "

Paolo Scaroni, 8 luglio 2006

domenica 18 giugno 2006

Accordo quadro per l’espansione dell’impianto di liquefazione del gas a Damietta e la ricerca e lo sfruttamento di nuove riserve di gas in Egitto

Una tappa importante nella strategia Eni di diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas. La realizzazione della nuova struttura (secondo "treno") pone le premesse per la ricerca e la valorizzazione nei prossimi anni di nuovi giacimenti in Egitto per la produzione di gas destinato sia al mercato domestico che all'esportazione. All'annuncio dell'importante accordo erano presenti il ministro egiziano del Petrolio Sameh Fahmi, il Presidente di Eni Roberto Poli e l'AD Paolo Scaroni.

Il Cairo, 18 giugno 2006 - Eni ha firmato oggi al Cairo l'accordo quadro (framework agreement) per l'espansione dell'impianto di liquefazione del gas di Damietta, sulla costa a nord ovest di Port Said in Egitto. La realizzazione della nuova struttura (secondo "treno") pone le premesse per la ricerca e la valorizzazione nei prossimi anni di nuovi giacimenti in Egitto per la produzione di gas destinato sia al mercato domestico che all'esportazione.

All'annuncio dell'importante accordo erano presenti il ministro egiziano del Petrolio Sameh Fahmi, il Presidente di Eni Roberto Poli e l'Amministratore Delegato Paolo Scaroni. Il ministro egiziano del Petrolio Sameh Fahmi e Paolo Scaroni hanno inoltre firmato l'accordo per la nuova concessione esplorativa di El-Bougaz, situata nell'offshore del Mar Mediterraneo.

Il forte slancio alle attività di sviluppo associato alla costruzione del secondo "treno" dell'impianto di Damietta consentirà la messa in produzione di nuovi giacimenti ubicati nell'offshore del delta del Nilo, alcuni dei quali in acque profonde. Ciò consentirà a Eni di rafforzare ulteriormente la sua posizione nell'upstream egiziano dove la Società prevede di continuare la sua prolifica campagna di investimenti esplorativi.

Il secondo "treno" per la liquefazione del gas avrà una capacità di trattamento pari a 7,6 miliardi di metri cubi di gas all'anno per 20 anni, raddoppiando così la capacità dell'attuale struttura.

Per la realizzazione dell'impianto sarà costituita una società i cui partner saranno Eni, Union Fenosa, SEGAS (Spanish Egyptian Gas Company), BP, Egas ed EGPC.

L'accordo porterà l'impianto di Damietta a svolgere sempre più il ruolo di hub del gas nel bacino del Mediterraneo, costituendo un'ulteriore tappa importante verso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas. Questi nuovi programmi di sviluppo sono il modo migliore per celebrare gli oltre 50 anni di straordinaria collaborazione con le autorità del Paese e le società petrolifere egiziane.

L'Egitto è il primo paese estero in cui Eni ha operato. Le attività, iniziate nel 1954, hanno portato Eni ad essere il primo operatore internazionale di idrocarburi in Egitto, con una produzione che nel 2005 ha rappresentato il 34% del totale complessivo del Paese. Eni ha investito ad oggi nel Paese 6,5 miliardi di dollari, producendo 3,45 miliardi di barili di olio equivalente. I programmi di sviluppo prevedono una produzione in quota Eni in forte crescita che raggiungerà entro il 2007 circa 240.000 barili di olio equivalente al giorno.

martedì 16 maggio 2006

Insegnamento e attualità di Enrico Mattei nel futuro dell'Eni - una lezione di Paolo Scaroni

Alla Facoltà di Economia di Bologna, il corso di Economia Industriale, diretto dal professor Alberto Clò, si è concluso con una lezione di Paolo Scaroni sul tema "Insegnamento e attualità di Enrico Mattei nel futuro dell'Eni".

Al centro dell'intervento dell'Amministratore Delegato Eni Paolo Scaroni, l'analisi su come le scelte e le intuizioni di Mattei hanno portato a disegnare la Compagnia come è oggi, sulla scena interna e internazionale e in che modo possano rappresentare un valido supporto per tracciare le linee di sviluppo per il futuro.

In tutta evidenza, le intuizioni del fondatore dell' Eni si sono dimostrate lungimiranti. Di due merita, in particolare, trattare, per l'importanza storica che ebbero e la loro straordinaria attualità e modernità.

La prima fu la strategia del metano: puntare al suo sfruttamento, trasporto, impiego estensivo nell'industria e nelle case. Una strategia che allora le grandi compagnie petrolifere esecravano e quasi deridevano. Se Enrico Mattei non si fosse battuto - contro tutti - per poter sfruttare i giacimenti di metano che aveva ritrovato in Italia; costruire in modo capillare reti di metanodotti per distribuirlo a imprese e famiglie; costruirvi a valle un'industria chimica per trasformarlo in fertilizzanti ed altri derivati; disegnare e avviare progetti di importazione a grandissime distanze (Algeria, Olanda, Russia), oggi l'Italia sarebbe letteralmente fuori dall'industria del metano o ne disporrebbe in misura marginale.

La storia del metano in Italia è la storia dell'Eni. Una storia di assoluta avanguardia e di successo mondiale, da tutti invidiata, da noi oggi paradossalmente esecrata.

L'altra grande intuizione di Enrico Mattei fu la strategia, industriale e politica insieme, che avviò con i Paesi produttori. Strategia che ha rivoluzionato il mondo del petrolio, consolidando quell'ineludibile processo di loro affrancamento dalle potenze coloniali e dalle grandi compagnie petrolifere, che ne erano espressione e strumento, che sarebbe andato a pieno compimento con le due grandi Crisi degli anni Settanta.

L'attualità di quel disegno non sta tanto nel fatto che le intese che Mattei delineò sarebbero divenute termine di riferimento delle nuove relazioni contrattuali con i Paesi produttori, soppiantando l'"odiato" strumento delle concessioni, ma soprattutto nel fatto che dalla difficile crisi che oggi attraversa i mercati del petrolio e del metano se ne esce solo rilanciando su

basi nuove la cooperazione tra Paesi produttori e Paesi consumatori. Attualizzando, in altri termini, il disegno strategico che fu di Enrico Mattei.

Il Corso di Economia Industriale, iniziato nel marzo scorso, è diviso in due parti. Nella prima, più istituzionale, il professor Clò si è occupato dell'analisi storica dell'economia delle imprese, con particolare attenzione ai processi di liberalizzazione e alle privatizzazioni. La seconda parte del Corso è stata dedicata invece all'economia e alla politica del petrolio. Nell'ambito del programma didattico il docente ha ritenuto di dedicare quattro lezioni centrate sulla figura e le azioni di Enrico Mattei, di cui ricorre il centenario della nascita.

La maggioranza degli studenti aveva poche nozioni sul fondatore dell'Eni ma l'interesse su un personaggio così rilevante nel sistema delle imprese italiano è stato molto forte. Altre due lezioni si sono tenute presso il cinema Lumière. Nella prima il direttore della Cineteca di Bologna, Gianluca Farinelli, ha tenuto una lezione sul linguaggio filmico del "Caso Mattei" di Francesco Rosi.

Il 3 maggio scorso, infine, il Direttore di Rai Educational, Giovanni Minoli, ha approfondito ulteriormente il personaggio Mattei avvalendosi anche della proiezioni di documenti filmati e televisivi utilizzati nell'ambito dei suoi programmi storici in Rai.


16 maggio 2006 ore 9.00
Facoltà di Economia,
corso di Economia Industriale
Università di Bologna
lezione di Paolo Scaroni

Vedi i video dell'intervista e della lezione di Paolo Scaroni all'Università di Bologna - su Speciale Centenario Enrico Mattei