Si avvicina la data della ridiscussione a livello europeo dell’attuazione del protocollo di Kyoto, con il governo italiano che cerca di mettere un freno e ridiscutere alcune decisioni ritenute dannose per il sistema italiano. Se finora le critiche erano tutte contro la posizione italiana, ritenuta troppo rigida e campanilista, ora nuove reazioni si stanno facendo sentire, tenendo sempre a mente il fallimento de facto dell’accordo di Kyoto che si è rivelato erroneo perché basato su presupposti irrealistici. Una posizione contro-kyoto che continua a guidare anche Paolo Scaroni, il quale ha sempre affrontato l’argomento come chi lo conosce bene. Durante il convegno del mese scorso, tenutosi a Sesto San Giovanni, ha ribadito tutte le sue posizioni, con la consapevolezza di chi, pur essendo attaccato da più parti, era nel giusto. I limiti evidenziati dal protocollo sono in effetti due, stando all’analisi di Scaroni, inutilità e ingiustizia.
Il primo è l’inutilità del protocollo, poiché “A un problema globale come il cambiamento del clima risponde con un progetto che, contrariamente alle intenzioni originali, globale non è”, stando alle parole dell’Ad dell’Eni. Il problema fondamentale secondo Scaroni è che i limiti restrittivi sono stati individuati e imposti solo a pochi paesi, rispondendo quindi non in termini di globalità, come il problema clima richiederebbe. Il rischio reale è quello di una delocalizzazione di industrie definite emissions intensive in paesi dove non esistono tali vincoli cosicché “le emissioni globali di co2 restano invariate”, con la conseguenza “che i paesi che si autoimpongono questi vincoli perdono in termini di competitività”. Per riuscire ad avere un quadro reale basta considerare i numeri italiani: l’Europa ha un peso pari al 15% sulle emissioni globali. L’obiettivo della riduzione del 20% condurrebbe ad una diminuzione globale solo del 3%, ovvero, stando alle stesse dichiarazioni di Paolo Scaroni: “tutti gli sforzi che farà l’Europa da qui al 2020 porteranno a una riduzione delle emissioni pari a un ottavo dell’incremento nelle emissioni della sola Cina nello stesso periodo”. Scaroni ha fatto riferimento sia agli Stati uniti, che non hanno mai sottoscritto l’accordo, ma che da soli apportano il 22% delle emissioni globali, sia ai Paesi in via di sviluppo che hanno invece aumentato le proprie emissioni del 90% nell’ultimo decennio e che ora pesano per il 40% a livello globale, ma che non sono stati presi in considerazione nel protocollo di Kyoto.
L’ingiustizia del protocollo invece, non solo si rispecchia nel fatto che penalizza l’Europa rispetto a Stati Uniti, Cina e India, ma anche perché all’interno della stessa UE si richiedono sforzi completamente diversi. Il burden sharing agreement, ovvero l’accordo tra i paesi della Ue per suddividere l’impegno di Kyoto, ha fissato obiettivi di riduzione rispetto alla situazione del 1990, favorendo così quei paesi che in quell’anno erano meno efficienti, e penalizzando Paesi come l’Italia che già allora erano virtuosi e che ora devono fare sforzi enormi per conseguire il proprio target di obiettivi.
Velleitari sono anche, secondo Paolo Scaroni, sia gli obiettivi del 20% per la riduzione dell’emissioni di gas serra, sia quelli del raggiungimento di quella quota per le rinnovabili sui consumi primari al 2020. Nel primo caso, “traducendo in numeri assoluti queste percentuali ci si rende conto che un taglio delle emissioni del 20 per cento nel 2020 richiederebbe una riduzione di 1,2 miliardi di tonnellate di co2 equivalente, che significherebbe la chiusura dell’intero parco termoelettrico europeo. E in comune con il resto dei nostri sforzi in tema, non servirebbe nemmeno a molto. Basti pensare che un’eventuale riduzione del 20 per cento del gas serra al 2020 verrebbe vanificata da 51 giorni di normale attività dell’industria cinese”. Il secondo obiettivo è invece velleitario, secondo Paolo Scaroni poiché significherebbe produrre energia da rinnovabili pari ai consumi energetici primari di Italia, Olanda e Belgio. Basti pensare alla Germania, leader nell’utilizzo dell’energia solare che riesce a coprire con i pannelli fotovoltaici solo lo 0,4% dei consumi primari con un costo però pari a circa 7 volte superiore a quello di una centrale a gas.
Paolo Scaroni ha definito infine il protocollo 20-20-20 “scriteriato” poiché il punto che doveva essere quello fondamentale, ovvero il raggiungimento del 20% di efficienza energetica, è rimasto solo un auspicio senza mai essere stato tradotto in azioni o proposizioni concrete. L’efficienza energetica secondo Scaroni è infatti la vera e propria fonte alternativa, visto che “ non ha emissioni e salvaguarda l’ambiente a costo zero”, ed è ciò che può rendere sostenibili i consumi energetici. L’ad di Eni ha portato come esempio la differenza tra il parco auto Usa e quello europeo: se il primo, quello meno efficiente con 4km/l , riuscisse a portare l’efficienza ai livelli del secondo 13km/l “gli Usa risparmierebbero quattro milioni di barili al giorno di petrolio, cioè l’intera produzione dell’Iran di oggi”.
L’obiettivo deve essere quello di ridefinire il protocollo di Kyoto e le azioni necessarie per raggiungerne gli obiettivi partendo dalla difussione della conoscenza delle potenzialità delle fonti energetiche e del concetto di efficienza energetica. Una posizione, quella di Scaroni, che è condivisa da ambienti totalmente estranei all’industria energetica.
Anche l’associazione “amici della terra”, legata ai radicali, ha un pensiero simile a quello di Scaroni sostenendo che la posizione dell’Italia sia effettivamente corretta, nonostante le modalità siano troppo rigide e apparentemente da aut aut, e che sia necessario rinegoziare il pacchetto Ue poiché le misure sono poche trasparenti e, soprattutto, poco ambientaliste e probabilmente molto politiche.
venerdì 5 dicembre 2008
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